di Maria Teresa Giannini

Spira un vento di novità in Coal, la cooperativa marchigiana, nata ad Ancona nel 1961 che vanta più di 300 punti vendita dislocati in 6 regioni (Marche, Abruzzo, Umbria, Lazio, Molise, Emilia-Romagna) e San Marino. L’insegna, che a fine ottobre 2021 è rientrata in Gruppo Vegè, ha chiuso il 2022 superando i 300 milioni di euro di vendite (+3,1% di fatturato sul 2021) mentre il risultato operativo lordo, nel 2022, è stato di 5,8 milioni di euro. Oggi, portata a regime la nuova piattaforma agroalimentare, Coal punta a superare il classico concetto di “distributore”, diventando anche centro di prima lavorazione, confezionamento e smistamento dell’ortofrutta oltre che della carne, come spiega il direttore generale, Alessandro Buoso.

Nel presentare questo piattaforma, Lei ha detto che è il primo passo di qualcosa di più grande: può spiegarci di più?

Il sogno, ma non proprio sogno nel cassetto del nostro presidente, è di creare anche un’azienda agricola e per alcune merceologie rilevanti cominciare a produrre (chilometro zero). Il nuovo hub, di Mosciano Sant’Angelo (Teramo) è per noi molto importante, perché puntiamo ad accorciare la filiera nella realtà dei fatti. Non esiste a livello italiano, ma penso a livello europeo, un progetto di questo tipo. Tutto è nato dalla strenua volontà del presidente Carlo Palmieri, che oggi è al suo 6° mandato in Coal: un vero esperto e appassionato di agroalimentare e in particolar modo dell’ortofrutta, settore in cui lavora da 40 anni. Fino a oggi, quando parlavamo di “filiera”, ci riferivamo essenzialmente a tre passaggi: il campo, gli intermediari che comprano dagli agricoltori e si occupano di lavare e confezionare la merce suddivisa per calibri, e da ultima, la distribuzione nei punti vendita dei prodotti finiti. Il problema è che, sovente, questo processo mette in difficoltà la parte produttiva: stressata nei costi rischia spesso di andare in difficoltà, penalizzando il prodotto e la sostenibilità del sistema. Noi stiamo creando il giusto mix tra la filiera lunga e la filiera corta rivolgendoci, per parte dei nostri fabbisogni, direttamente all’agricoltore: compriamo la merce e la portiamo grezza nel centro distributivo, dove la laviamo, lavoriamo e confezioniamo come meglio richiede l’esigenza del consumatore dei nostri negozi e nel nostro territorio.

Qual è stato l’investimento per la costruzione di questo centro? Si tratta di fondi interamente vostri o avete avuto partner finanziari?

L’investimento ammonta a circa nove milioni di euro, finanziati in parte con il contributo del Piano di sviluppo regionale Abruzzo 2014-2020.

E in merito alla superficie?

Parliamo di 13 mila mq, di cui 6 mila destinati all’ortofrutta. In particolare 1.500 saranno dedicati alla nuova area di lavorazione di frutta e verdura.

E il resto?

Carne e surgelati.

Pensate di realizzare “in casa” anche le 4e e 5e gamme…

Quello sarà, eventualmente, l’ultimo dei nostri step. Nulla vieta di arrivarci, ma sulla quarta gamma c’è un grande dibattito: le normative stanno cambiando. Una cosa invece è certa: possiamo uscire dalla “gabbia” dei formati standard di confezionamento, andando incontro alle esigenze dei vari tipi di consumatore, alle famiglie o ai single, a chi cucina spesso e a chi stocca molto, a chi lavora da casa e chi invece, ha bisogno di formati più “portatili”.

È corretto definire il nuovo centro “totalmente automatizzato”?

Il livello di automazione è molto alto, ma dietro le macchine c’è comunque una forza lavoro umana: a regime parliamo di 35-40 persone. Dal punto di vista degli impianti, ci siamo affidati a partner che realizzano alcune fra le migliori macchine su mercato, cioè Sorma, Bultec e Icoel; sul fronte del software, invece, ci siamo avvalsi di Retail Italia e Sid.

L’elevata automazione e il fatto di decidere voi i vostri formati vi consente di creare prezzi più interessanti, una volta ammortizzato l’investimento?

Non è solo una questione di prezzi: il nostro obiettivo principale è di garantire una qualità elevata e sostenere la filiera in maniera corretta, riconoscendo agli agricoltori quello che è giusto dare. Siamo una cooperativa e questo progetto non è solo economico, guarda al sociale e all’ambiente. Noi definiamo dei capitolati e dei processi, ma tributiamo il giusto valore all’origine. Del resto, ne va della qualità del prodotto: se l’attore primario viene “spremuto”, cercherà di piazzare tutta la sua produzione, non operando una giusta scelta al suo interno. Inoltre, questo modus operandi si rivela disastroso in momenti di sconvolgimenti climatici, come quelli che stiamo vivendo.

Come sarà veicolato questo ulteriore valore al consumatore?

È un prodotto sostenibile, perché c’è un impatto territoriale e ambientale minore dovuto a minori passaggi: basti pensare a come diminuirà il trasporto, quando sarà in funzione l’azienda agricola. Per quanto pochi siano finora, abbiamo già prodotti di 1° e 4° gamma a marchio Coal e tutti vengono da produzioni italiane: effettuiamo visite periodiche per selezionare i terreni, monitorare lo stato di crescita dei prodotti, c’è grandissima cooperazione con i produttori, che però da oggi diventa un legame molto più stretto. Il passo avanti è coinvolgerli ancor di più e ampliare la numerica.

Si direbbe una piccola cooperativa del territorio che nutre ambizioni importanti…

Si, infatti ci stiamo approcciando alle dinamiche del bilancio sociale. La parola coerenza deve diventare il must dell’azienda. Lo stesso acronimo “Ce.di” dovrebbe cambiare, poiché non è solo un hub distributivo, bensì di centro di creazione di valore. Ma non ci basta: puntiamo a comprare 10 ettari dove coltivare noi stessi i prodotti autoctoni, eliminando i camion da un altro pezzo di strada. Per farlo, stiamo cercando di ottenere le autorizzazioni per creare un’azienda agricola tutta nostra, grazie alla quale seguiremmo l’iter dei prodotti, dalla terra allo scaffale. Più che un obiettivo finale lo definirei un sogno, quello di dare valore al territorio con una sostenibilità tangibile. Abbiamo fatto il primo passo, creando nel nostro hub distributivo la parte di lavaggio e confezionamento per alcuni prodotti, cosa che oggi fanno molti intermediatori, ognuno per le proprie categorie merceologiche. Pian piano estenderemo a questi processi tutti i prodotti. La logica è dare attenzione non solo alla distribuzione, ma al singolo articolo (ortaggio, frutto o verdura), da quando nasce a quando viene venduto.