Nata negli Stati Uniti nel 1930 su iniziativa di Harland Sanders, nominato, per i meriti imprenditoriali, Colonnello del Kentucky, Kentucky Fried Chicken è oggi la più famosa catena mondiale di ristoranti che servono pollo ed è leader nel mercato di riferimento: con oltre 22.000 indirizzi in 135 Paesi dà lavoro a 750.000 persone.
La società fa parte, a sua volta, del colosso della ristorazione Yum! Brands, che comprende anche Pizza Hut e Taco Bell, per un totale che supera i 45.000 ristoranti in più di 140 nazioni.
Il re del pollo fritto, arrivato in Italia nel 2014 presso il centro commerciale Roma Est, conta oggi 31 locali, tutti in franchising, in 11 Regioni: Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Veneto, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Toscana. Presidia sia le vie commerciali, sia il canale shopping center e outlet: Il Centro di Arese (MI), Oriocenter di Orio al Serio (BG), Roma Aura, I Gigli di Firenze, Valmontone Outlet (RM) e tanti altri. Il giro d’affari annuo medio per ristorante è di 1,9 milioni di euro, mentre i clienti italiani hanno toccato, nel 2018, un totale di 7,5 milioni.
In un momento in cui la ristorazione diventa, nella nostra Penisola e in molti altri Paesi, sempre più dinamica e competitiva, Distribuzione Moderna ha chiesto a
Corrado Cagnola, Amministratore delegato di Kfc Italia, di fare il punto sulle strategie del colosso americano nel nostro Paese.

Quali sono stati gli opening più recenti?

A fine dicembre abbiamo realizzato 3 aperture: a Moncalieri (TO), presso il 45° Nord Entertainment Center, a Cesano Boscone (MI) al Centro Commerciale Auchan e in Sicilia, al Centro Porte di Catania. Il percorso è continuato, a fine gennaio, a Centro Le Cupole di San Giuliano Milanese.

È un ritmo di sviluppo robusto. Cosa prevede per il futuro?

Vogliamo accelerare ancora e chiudere il 2019 con 50 locali. Il nostro intento è sia di rafforzarci nelle regioni attualmente presidiate, sia di ampliare l’orizzonte. Non a caso, a dicembre, siamo arrivati per la prima volta in Sicilia, a Catania, come ho detto. Negli anni a seguire terremo un ritmo di 20-30 ristoranti ogni 12 mesi. In parallelo il fatturato evolverà, dai 40 milioni del 2018 ai 55-60 del 2019. Ma ancora più dei ricavi è importante l’afflusso medio annuo per ristorante, che si piazza oggi sulle 250.000 persone, un numero considerevole e che ci rende orgogliosi.

Come si svolge il rapporto con gli affiliati?

Ragioniamo in un’ottica di partnership e seguiamo i nostri franchisee in tutte le fasi, dall’apertura alla gestione. Questa scelta riflette la filosofia globale di Kfc, che è basata, in modo praticamente esclusivo, sull’affiliazione. Riteniamo infatti che gli imprenditori locali, con la loro profonda conoscenza del territorio, siano i soggetti ideali, quelli capaci di raggiungere i migliori risultati.

Parliamo del vostro posizionamento…

Oggi, nel nostro Paese, la ristorazione a catena è presidiata soprattutto dai marchi stranieri che, nel segmento fast food, riescono a soddisfare, in modo pressoché completo, la domanda. Diversamente nelle nazioni estere, anche vicine, c’è una maggiore differenziazione. Alla luce di questo avere un posizionamento originale non è un problema e, direi, che per noi lo è ancora meno, visto che il nostro prodotto - il pollo fritto, cucinato secondo una ricetta esclusiva, che non è mai cambiata - è molto specifico. Questo ci aiuta a essere percepiti come marchio iconico, particolare e originale, un fatto che ci tiene distanti dall’abituale burger, abbinato al fast food nell’immaginario collettivo.

Vi interessa il food delivery?

È un canale dalle grandi prospettive e in forte crescita, anche se rappresenta ancora un 5% circa delle vendite della ristorazione italiana. Data la pluralità degli operatori il mercato si sta sviluppando e il consumatore ha espresso il proprio gradimento. Oggi Kfc è presente in parecchi centri commerciali, che non sono i classici punti origine del cibo a domicilio. Tuttavia un terzo della nostra catena, sostanzialmente attraverso i locali di Milano e Roma, è attivo anche in questo canale. Del resto questi due grandi centri urbani catalizzano circa il 90% della ristorazione a domicilio, il che lascia aperti ampi margini di incremento.

Siete nei centri commerciali e nelle grandi vie cittadine. Possiamo aggiungere altro?

Stiamo sviluppando il drive, destinato alle vie di grande traffico e dotato di una corsia che permette di ordinare e ricevere il prodotto senza scendere dall’auto. Questo tipo di negozio si addice molto alla logica dell’asporto e consente di portare a casa un prodotto ancora caldo e croccante. Poi, essendo molto diffusi nei centri commerciali, dove abbiamo presidiato le collocazioni più interessanti, ci orienteremo di più verso le strade commerciali e sulle aree a forte densità abitativa.

Quali sono i vostri format?

Kfc offre tre soluzioni: in alcuni shopping center siamo attivi nella food court, con una superficie di 120-150 mq, senza posti a sedere. Il locale classico occupa, invece, 300-400 mq, ha almeno 100 sedute e, in Italia, costituisce la formula più gradita, visto che i nostri connazionali amano consumare il pranzo e la cena con calma e comodità. Stiamo poi sperimentando pezzature più ridotte, da circa 120-150 mq con pochi posti a sedere e una cucina più piccola, destinate al centro città e al food delivery.

Concludiamo con qualche osservazione sulle peculiarità della clientela italiana…

Direi che la nostra caratteristica, a tavola come in altri ambiti, è di sapere apprezzare la qualità. Chi ci scopre, magari nei propri viaggi, comincia a venire nei nostri locali anche in Patria e poi, come dimostrano le dichiarazioni dei consumatori, ritorna perché ha gradito molto il prodotto. Inoltre, per i nostri connazionali, conta il rapporto umano, inteso anche come personificazione dell’azienda: in sostanza il Colonnello Sanders, non è solo una figura presente nell’insegna, ma anche un grande testimonial.