Non è solo la crisi a spingere gli italiani a fare la spesa in campagna. Dietro al crescente successo di questo fenomeno, che nei primi sei mesi dell’anno ha già coinvolto più di due milioni di consumatori, oltre al risparmio, ci sono anche tutte quelle specialità della terra, ignorate dai canali ufficiali della distribuzione alimentare e custodite solo dai pochi agricoltori che ancora le producono.

Dal cacio “marcetto” abruzzese al liquore di sambuco siciliano, dall’annona calabrese al sedano nero di Trevi, alla focaccia di barbarià del cuneese: più di mille sapori dimenticati nelle pieghe del nostro paesaggio rurale, che risultano i più richiesti dagli “abitué” della spesa in campagna nelle 3000 aziende che ne perseguono la tradizione. Lo rileva la Cia-Confederazione italiana agricoltori nel report sulla “spesa in campagna”, presentato in occasione della VI Conferenza economica in svolgimento a Lecce.

Se i numeri di questa enogastronomia “alternativa” sono contenuti, queste rarità dell’agricoltura italiana dimostrano comunque di avere un grande “appeal” tra i più avvezzi all’acquisto in azienda. Secondo un’indagine condotta nelle imprese aderenti alla “Spesa in campagna”, infatti, dopo il risparmio (82 per cento) e la ricerca di cibi sani (73 per cento), ad attrarre gli italiani in azienda è proprio la singolarità di questi sapori (52 per cento) legati alle tradizioni fortemente locali. Per il 47 per cento del campione, inoltre, la spesa in campagna è un’ottima occasione per passare qualche ora all’aria aperta.