di Emanuele Scarci

Prezzi ancora giù? No, dopo il Trimestre tricolore sono tornati a crescere e la domanda di beni di largo consumo confezionato che, nel terzo trimestre del 2023, era tornata in terreno positivo (+2%) è nuovamente scivolata. C’è da dire che il largo consumo confezionato e il settore a più alta inflazione tra i beni di consumo: nel 2023 i prezzi sono aumentati del 9,6%.
Se “parliamo dei primi 2 mesi del 2024, escludendo quindi marzo che è influenzato dallo shopping di Pasqua - ha detto ieri a Milano al convegno di Ibc sul largo consumo Angelo Massaro, ceo di Circana Italia - osserviamo una contrazione delle vendite dello 0,1% a fronte di un balzo dei prezzi del 2,3%. A una situazione così complessa come quella degli ultimi anni, il consumatore ha reagito con la migrazione tra i diversi canali di vendita”.
In particolare negli ultimi due anni terminanti lo scorso febbraio, i discount hanno guadagnato il 2,5% di quota di mercato e i drugstore 0,5% mentre super e superstore hanno perso 0,2-0,3% e iper e negozi tradizionali fra -0,5% e -1%.

Più mainstream meno premium

Poi Massaro ha sottolineato che “c'è un forte movimento di quote di mercato, uno spostamento all'interno della distribuzione classica (escludendo i discount per ovvie ragioni) verso la parte mainstream (a detrimento di premium, superpremium e low cost) che rappresenta il 50% del mercato. In questo segmento la marca del distributore guadagna 5 punti di quota. In definitiva, buona parte della crescita della marca del distributore che ha raggiunto quasi 30 punti di quota”.

Infine, le aziende di dimensioni maggiori sono quelle che hanno trasferito di più gli aumenti sugli scaffali e che hanno perso più vendite. In particolare, le aziende con più di un miliardo hanno perso mediamente il 5,3% dei volumi a fronte di circa il 12% di aumenti. Dall’altra parte, quelle fino a 50 milioni di fatturato hanno aumentato volumi dello 0,8% contenendo il ritocco dei prezzi del 4,7%.

No plastic e sugar tax

Sul fronte più generale, Flavio Ferretti, presidente di Ibc (l’Associazione industrie beni di consumo con 35mila imprese aderenti), ha sostenuto che “in un quadro congiunturale complesso, difesa della qualità, attenzione ai costi, tutela della marginalità e mantenimento dei livelli occupazionali sono fondamentali per la tenuta del tessuto produttivo. La discesa rapida dei tassi non è rinviabile e deve essere accompagnata da politiche industriali che favoriscano la crescita della produttività, lo sviluppo dimensionale delle aziende, gli investimenti nel digital. In parallelo va sostenuta la domanda: per questo siamo nettamente contrari a plastic e sugar tax e a nuove forme di tassazione dei consumi”.