“Il nuovo rapporto della Fao sullo Stato dell’alimentazione e dell’agricoltura nel mondo (Sofa), pubblicato alla vigilia della Giornata Mondiale dell’Alimentazione (oggi, 16 ottobre, ndr.) lancia l’allarme sulle perdite e gli sprechi alimentari: il 14% di ciò che si produce non raggiunge neppure gli scaffali della distribuzione al dettaglio. Frutta, verdure, cereali e altre colture, soprattutto nei Paesi meno sviluppati, non vengono neppure raccolte, oppure si perdono nella fase di trasporto, conservazione, distribuzione per mancanza di attrezzature e tecnologia. Se davvero vogliamo ridurre lo spreco alimentare a livello globale, come stabilito negli Obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Onu per il 2030, dobbiamo investire e promuovere l’innovazione a tutto campo: tecnologica, organizzativa, educativa”: così Andrea Segrè, Professore ordinario di Politica agraria internazionale e comparata dell’Università di Bologna e promotore della campagna Spreco Zero.

Il dato di perdita media calcolato dalla Fao, 14%, nasconde una grande variabilità da regione a regione nel mondo, così come in funzione del tipo di produzione agricola. “Tuttavia colpisce – continua Segré - perché si tratta di alimenti per la produzione dei quali sono state utilizzate risorse naturali, in primis il suolo agricolo e l’acqua ad uso irriguo, limitate. Se poi si considera che queste produzioni contribuiscono comunque ai cambiamenti climatici, generando anidride carbonica in atmosfera, si capisce bene come sia urgente intervenire. Tanto più che la stessa Fao stima che, per l’effetto dell’incremento demografico, quasi 10 miliardi di persone abiteranno il mondo nel 2050: dunque la produzione dovrà aumentare fino al 70% rispetto ai numeri attuali. Non ha senso dunque sprecarne una parte così rilevante determinando impatti così negativi”.

C’è urgente bisogno di stimolare modelli organizzativi più efficienti e adottare tecnologie più performanti. La sfida del cibo per garantire al mondo un futuro sostenibile passa – secondo Segrè per un ‘verbo’ chiave: innovare. “Abbiamo bisogno di innovazione tecnologica in ogni fase della filiera agroalimentare, dal campo alla tavola, per produrre più alimenti con meno risorse, riducendo al massimo l’impatto sull’ambiente e sul clima. D’altra parte – prosegue - dobbiamo promuovere un’innovazione comportamentale altrettanto importante quando consumiamo gli alimenti, andando verso una dieta più sana basata su frutta, verdura, legumi limitando, anzi, se possibile, azzerando, gli inutili sprechi. La ricerca scientifica e l’educazione scolastica devono essere fari sempre accesi se davvero vogliamo che il mondo si affranchi dalla malnutrizione per difetto (denutrizione) e per eccesso (obesità)”.

E in Italia? “Il rapporto Fao – scrive Segré - non riporta il caso del nostro Paese, tuttavia un’elaborazione delle statistiche nazionali testimonia una realtà assai significativa anche per le nostre perdite agricole, anche se, come ovvio, in proporzione minore rispetto ai Paesi in via di sviluppo. In Italia residua in campo il 3% della produzione agricola, dato medio che varia dal 4% delle orticole, al 2,5% della frutta passando per il 4,5% delle colture industriali. Il che, sommato, equivale a 1 milione di tonnellate di prodotti agricoli non raccolti ovvero circa il 20% dello spreco nella filiera agroalimentare, incluso lo spreco domestico ed escluso lo spreco nella ristorazione. Calcolando l’impronta idrica del non raccolto si getta via 1 miliardo di metri cubi di acqua virtuale, più o meno la capacità idrica del Lago d’Iseo. Qui, più che ragioni legate alla tecnologia, che può tuttavia essere migliorata, le cause risiedono nei prezzi di mercato troppo bassi per giustificare il raccolto e i consumi flettenti di prodotti ortofrutticoli, fenomeni che vanno a peggiorare le nostre diete e la nostra salute. Anche in questo campo c’è ancora molto da fare, promuovendo una corretta educazione alimentare”.