Mentre si aspetta la conferenza stampa del Presidente del Consiglio, Mario Draghi, per questa sera, 10 gennaio, alle 18, il mondo distributivo si interroga sulle ultime novità introdotte dal decreto approvato il 5 gennaio e specialmente sulle limitazioni che decorreranno dal primo febbraio.

I soli esercizi esclusi dal green pass, sia base (tampone), sia rafforzato (vaccino o guarigione), sono gli alimentari, negozi e Gdo generalista, le farmacie, le edicole, i tabacchi e le librerie, come durante i lockdown del 2020.

E qui sta il punto. Visto che nel mirino ci sono, fondamentalmente, i commerci ‘non essenziali’, cosa dovrebbero fare gli essenziali ipermercati, superstore e, in certi casi, supermercati, quando vendono anche articoli ‘non essenziali’ – di solito non food – dalla cartoleria e cancelleria, alla calzetteria e intimo, dai casalinghi, alla piccola ferramenta, dalla colla alle ciabatte? Tornare al nastro adesivo, per non fare concorrenza sleale, o controllare di volta in volta, magari in cassa, che il consumatore sia dotato di certificato verde? E, per giunta, come due anni fa, tutti questi beni finirebbero per trovare un canale, quasi unico, nel commercio elettronico, o in formule come il clicca e ritira e, quindi, sugli specialisti verrebbe comunque esercitata una forte pressione.

A porsi e a porci l'inquietante domanda è Alberto Frausin, presidente di Federdistribuzione, che, in un’intervista al quotidiano ‘Il Messaggero’, ha ricordato: «Per esempio nei centri commerciali, oltre a negozi di abbigliamento, calzature o cura della persona, ci sono anche gli ipermercati, i tipici grandi punti vendita di alimentari che però vendono anche prodotti di uso quotidiano. Non vorrei che ci si trovasse a dover gestire l'eventuale controllo del green pass in base alle diverse casistiche di cosa i clienti acquistano. Auspico insomma che non siano applicati sistemi che aggravino i costi e la complessità per le aziende, che sono già nella morsa tra aumento dei costi delle materie prime e dell'energia. È un momento in cui la distribuzione moderna non sarebbe in grado di assorbirli. Teniamo inoltre conto che nel 2021, alcuni settori, come abbigliamento e calzature, sono ancora sotto, a doppia cifra, rispetto al 2019, il periodo prima del Covid».

Frausin, inoltre, ha chiesto norme chiare ed omogenee, stigmatizzando il possibile ritorno al conflitto tra enti locali e potere centrale, uno scontro che, nel 2020, sebbene in parte giustificato – le regioni e i singoli comuni possono avere situazioni epidemiologiche più o meno preoccupanti - aveva causato problematiche non indifferenti a tutti quei distributori, e sono tanti, che vantano reti capillari. Tipico il caso della grande distribuzione associata.