Sono peggiorate economia (55%) e sicurezza (42%) e, secondo gli italiani, il peggio deve ancora arrivare. È crollata la fiducia nelle élite: solo il 4% si fida dei partiti, il 3% dei parlamentari, l’1,5% dei banchieri. Ma no all’uscita dalla Ue e dall’euro (66%). Bisogna ripartire da merito (52%), equità (48%) e protezione sociale (34%). È quanto emerge, in sintesi, dalla ricerca “Cosa sognano gli italiani”, realizzata dal Censis in collaborazione con Conad.

Il 55,4% dei nostri connazionali sostiene che, negli ultimi 12 mesi, la situazione economica del Paese si è aggravata (per il 36,9% è rimasta uguale, solo per il 7,7% è migliorata). Per il 42,3% è peggiorato anche l’ordine pubblico e il rischio di essere vittima di reati. Un’incertezza pervasiva che fa vedere tutto nero: nell’arco di un anno lo scenario peggiorerà ancora per l’economia (48,4% delle risposte) e, secondo il 40,2%, anche per la sicurezza.

La psicologia del peggio attanaglia la popolazione e mette in primo piano percezioni negative. Per il 70% sono aumentati gli episodi di intolleranza e razzismo verso gli immigrati. Le cause sono le difficoltà economiche e l’insoddisfazione della gente (50,9%), la paura di subire reati (35,6%), la percezione che gli immigrati in Italia siano troppi (23,4%), tutti fattori che portano alla caccia di un capro espiatorio.

Crolla la fiducia nelle élite. I grandi scienziati (40,7%), il Presidente della Repubblica (30,7%), il Papa (29,4%) e i vertici delle forze dell’ordine (25,5%) rimangono tuttavia i pilastri che beneficiano ancora del consenso dei cittadini.

Fiducia ai minimi termini per i vertici dei partiti (4%), i parlamentari (3,2%), i direttori di giornali e telegiornali (3,6%), gli editorialisti e gli opinion maker (3,8%), soprattutto i banchieri (1,5%). Poco più alta è la stima verso i grandi imprenditori industriali (10,9%), nella dirigenza dei corpi intermedi e delle associazioni di categoria (8,1%). La post-verità ha generato la voglia di figure rassicuranti, che siano l’incarnazione del senso di responsabilità e in grado di trasmettere sicurezza.

No Italexit: gli italiani non sognano la fuga dall’Ue. Il 66,2% non vuole l’uscita dall’euro e il ritorno alla lira e il 65,8% è contrario al ritorno alla sovranità nazionale, cioè senza adesione dalla Comunità. Il 52% non è favorevole all’idea di ristabilire confini impermeabili e controlli alle dogane.

Il grande sogno è la libertà di tornare a ‘volare’ e i fattori irrinunciabili per la crescita consistono nel dare più spazio al merito, favorendo i più capaci (52,1%), nella maggiore uguaglianza, in una distribuzione più equa delle risorse (47,8%), più welfare e protezione sociale, per dare maggiore sicurezza (34,3%), minore aggressività e rancore verso gli altri (33,1%).

Concretamente il 73,9% degli italiani si dice favorevole all’imposizione di una tassa sui grandi patrimoni e il 74,9% all’introduzione di un salario minimo per legge. La riscossa del Paese, continuano gli intervistati, non deve però comportare l’assistenzialismo, la presenza di uno Stato padrone, né un generico buonismo. La speranza è, ancora una volta, nella possibilità di inseguire il proprio destino, ricevendo il giusto riconoscimento economico.

“Mentre tutto il dibattito pubblico si arrovella sulle piccole variazioni, da zero virgola, al rialzo, o al ribasso del Pil, rischiamo di sottovalutare quanto sia importante poter contare su un immaginario collettivo ricco e vitale, positivo e propulsivo, come ingrediente indispensabile dello sviluppo - commenta Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis -. In gioco c'è qualcosa di molto importante. Le democrazie liberali hanno bisogno di crescita, perché si sorreggono sulla soddisfazione dei bisogni, benessere e consumi di massa, uguaglianza delle opportunità, processi di mobilità sociale per i ceti meno abbienti. Altrimenti vince il rancore, che non fa sviluppo”.

«I risultati della ricerca Censis Conad ci raccontano un’Italia ancora immersa nell’incertezza. Un dato, questo, che trova conferma nelle indagini realizzate da Conad sulle scelte di acquisto dei consumatori: il 42% di loro è convinto che il potere di spesa delle famiglie sia diminuito, il 38% ritiene che sia rimasto invariato, solo il 10% crede che sia cresciuto. Emergono però anche comportamenti positivi, come l’attenzione alla lotta agli sprechi, che in una scala di valori da 1 a 5, vale 4,3 punti, alla sostenibilità dei prodotti (3,96 punti) e al rispetto dei diritti degli attori della filiera (4 punti). Non solo. Per un consumatore su tre la fiducia nel territorio di provenienza dei prodotti alimentari costituisce una delle maggiori leve di acquisto. È un messaggio molto chiaro: mai come in questo momento la popolazione cerca punti di riferimento solidi, chiede di potersi fidare - sottolinea l’amministratore delegato di Conad, Francesco Pugliese -. Sono segnali che ci indicano la strada da seguire per uscire dall’epoca della paura e dell’immobilismo. Il Paese ha bisogno di una classe dirigente credibile, di equità e meritocrazia, di una politica che premi l’impegno e promuova la solidarietà, i legami sociali e il senso di responsabilità. Sono i presupposti necessari per tornare a condividere un grande sogno collettivo, il più potente motore della crescita”.