Il 2012 sarà ricordato negli annali come l’annus horribilis per gli investimenti nel settore del retail real estate. Sono stati infatti appena 300 i milioni di euro investiti in questo comparto che era solito vedere cifre con ben altri ordini di grandezza. Il 2013, da questo punto di vista, ha fatto recuperare un po’ di speranza agli operatori del settore, facendo registrare un giro d’affari complessivo pari a 2,5 miliardi di euro, il dato più confortante degli ultimi anni.
Un segnale importante, che però non deve far dimenticare quanto accaduto dal 2007 in avanti, inducendo molti player a pensare che nulla sarà più come il periodo pre-crisi e che quindi l’intero settore si attesterà anche nel prossimo futuro su questi livelli. Il 2014 sembra comunque essere iniziato sotto i migliori auspici: secondo i dati forniti da John Lang LaSalle, infatti, gli investimenti sono cresciuti a volume del 110% nel primo trimestre, passando dai 140 milioni di euro del 2013, ai 290 dell’anno in corso. L’Italia, così come buona parte dell’Europa, rimane però piuttosto ai margini in questo mercato. Se infatti alcune zone del mondo, come spesso accade ormai negli ultimi anni, crescono a ritmi sostenuti –per esempio l’ormai consueto “drago” cinese –, il Belpaese non sembra essere più uno dei protagonisti nel panorama mondiale. Un quadro ben preciso che emerge anche dall’opinione dei principali operatori del settore.

Non solo investimenti opportunistici

Un cauto ottimismo. Le ferite inferte al settore negli ultimi anni fanno ancora fatica a rimarginarsi, ma qualche flebile segnale di ripresa comincia comunque a farsi largo tra gli operatori. “Stiamo registrando un ritorno di attenzione per i prodotti italiani da parte di diversi fondi internazionali – spiega Roberto Marchetti, direttore commerciale e sviluppo di Cogest Retail –. Alcuni di questi si affacciano con obiettivi opportunistici, così come era stato nel periodo più critico del mercato, ma altri sembrano studiare le opportunità con un approccio di lungo termine. Anche se il rinnovato interesse non si è per ora concretizzato in proporzione alle attese, alcuni deal sono stati avviati e confidiamo che entro la fine dell’estate altre operazioni possano arrivare a concludersi”.
Sul fronte delle locazioni commerciali, comunque, l’ondata montante della crisi aveva comportato una rivisitazione dei canoni, che oggi si sono comunque stabilizzati, anche se l’erosione è stata del 20-30% rispetto al periodo ante-crisi. “È vero che i prodotti prime non sono stati toccati, però non sono nemmeno cresciuti come avrebbero potuto – prosegue Marchetti –. E lo stesso vale per quei centri che per bacino, storicità e offerta potevano contare su basi consolidate: hanno tenuto, a fronte di un impegno enorme da parte del collettivo di proprietà, gestori e tenant. Se tutti concordano nel dire che il business non sarà più come una volta, possiamo auspicare che le diverse parti in causa abbiano imparato a lavorare in un modo nuovo e a fare sistema”.
L’Italia rimane comunque un osservatorio abbastanza anomalo e raramente è terreno di sperimentazione. “O si trovano eccellenze destinate a fare scuola a livello mondiale, come Eataly, per citare un caso giustamente acclamato, oppure si vedono operatori, anche illuminati e innovativi, che stentano a decollare, soffocati in partenza dalla mancanza di finanziatori e da un contesto refrattario al cambiamento”, ammette ancora Marchetti, che sottolinea anche come i problemi rimangano gli stessi di sempre: “Nel nostro paese è difficilissimo fare impresa, dovendo fare i conti già dalle primissime battute con una burocrazia farraginosa, un contesto normativo che cambia da regione a regione (per non dire provincia o comune), un sistema fiscale punitivo – conclude –. Credo che sia difficile tornare competitivi e attrarre gli investitori stranieri, senza un intervento profondo e integrato su tutte le cause che oggi frenano, senza distinzioni, l’imprenditoria internazionale e l’italiana”.

Diminuiscono i competitor, più opportunità per chi sopravvive

La crisi economica degli ultimi anni ha modificato “geneticamente” l’atteggiamento dei consumatori, diventati ormai sempre più sensibili al risparmio, pur non essendo totalmente disposti a rinunciare alla qualità dei propri acquisti. “In questo scenario il modello outlet vive un momento favorevole perché rappresenta il compromesso perfetto – spiega Laura Andreoletti, country manager di Neinver Italia –. Inoltre, la contrazione dei consumi ha portato alla chiusura di numerosi player “tradizionali”, offrendo a chi è rimasto, un mercato più ampio da spartire. Bisogna però avere la forza, anche economica, di cavalcare il momento.
L’outlet oggi non è più solo un canale per l’invenduto, ma è diventato una vera e propria vetrina. “I clienti non arrivano più solo per gli sconti vantaggiosi o le offerte – prosegue Andreoletti –, ma anche per il contesto che offre dalla ristorazione all’intrattenimento e soprattutto per la possibilità di trovare un’ampia offerta di brand diversi tutti insieme”.
In un contesto difficile ma anche sfidante, l’obiettivo oggi è comunque quello di consolidare. “In Italia si è raggiunta una saturazione del settore, non siamo più in un mercato dello sviluppo e di conseguenza le logiche cambiano – afferma Andreoletti –. La grande sfida di oggi, quindi, è riuscire a rendere e mantenere attrattivo un centro aperto da 10 anni. Non è da sottovalutare inoltre il ruolo dell’e-commerce, che ad oggi risulta essere uno dei nostri primi competitor ed è il canale che registra l’incremento maggiore”.
Neinver, secondo i dati forniti dalla società, ha chiuso il 2013 con risultati positivi sia per l’affluenza, sia per le vendite. I quindici outlet gestiti in Europa hanno accolto circa 39 milioni e mezzo di visitatori (+12%), mentre le vendite si sono attestate a 863,5 milioni di euro (+11%). In Italia, i centri di Vicolungo e Castel Guelfo sono stati visitati da più di 6 milioni di persone, con un lieve incremento dell’1% rispetto al 2012. In crescita del 3%, invece, il volume totale delle vendite 2013.
“Le prospettive del medio/breve periodo sono positive – conclude Andreoletti –, il 2015 potrebbe portare una timida ripresa. Con la crisi alle spalle e l’aiuto di un’economia in ripresa, anche gli outlet che sono “sopravvissuti” non possono che crescere, grazie anche a un buon lavoro di fidelizzazione”.

Ritornano gli investitori stranieri

Il 2013, come accennato, è stato un anno di parziale riscatto rispetto a un 2012 che ha fatto registrare una drastica riduzione dei volumi di vendita, portando l’Italia ai livelli più bassi del mercato globale. Il 2014 sembra confermare i risultati positivi dello scorso anno e la tendenza sembra quindi essersi invertita. “Gli investitori internazionali sono tornati, mentre gli italiani si tengono un po’ alla larga dal settore retail perché lo percepiscono come rischioso – sottolinea Davide Dalmiglio, head of retail group e head of capital markets di John Lang LaSalle –. Gli stranieri sono tornati a investire in Italia perché c’è stata una revisione dei prezzi verso il basso, quindi ci si aspettano ritorni più alti rispetto a nazioni come Regno Unito, Francia, Germania o Paesi scandinavi, anche se il contesto europeo rimane mediamente più positivo. L’Italia è comunque uscita dal rischio, seppur remoto, di un default”.
Da un lato quindi si assiste a una forte domanda di capitali provenienti da tutte le economie globali e in particolare da Asia, Nord America e Russia, ma dall’altro lato in Italia attualmente è difficile trovare prodotti di qualità con standard europei. “Per tale motivo si crea la percezione che la crisi sia finita e allora i venditori tornano ad alzare i prezzi – spiega Dalmiglio –. Questo fa aumentare il rischio che domanda e offerta non si incontrino e pertanto potrebbe verificarsi un fenomeno di stagnazione”.
Anche il tanto auspicato “effetto Expo”, secondo Dalmiglio non dovrebbe portare benefici a breve termine al sistema Paese, ma soltanto alla città di Milano, che viene percepita come un’entità a sé: “Nel prossimo futuro ci si aspetta comunque un miglioramento generale della situazione in termini di interesse, a patto che i ritorni attesi dagli investitori si verifichino effettivamente. Inoltre, mentre prima l’attenzione del mercato era concentrata sui prodotti di dimensioni rilevanti situati nei grandi centri urbani, oggi vengono presi in considerazione anche prodotti secondari, che non prima non erano valorizzati”.

Meno quantità, ma più qualità

Se nel periodo pre-crisi le dimensioni “contavano” oggi, con budget vistosamente ridotti, l’attenzione alla qualità dei centri commerciali è divenuta fondamentale. “Nel 2013 abbiamo registrato una chiusura dei fatturati in flessione per la mancanza di nuove aperture – commenta Corrado Vismara, amministratore delegato di Larry Smith –. Una situazione prevista, poiché abbiamo avuto un punto d’arresto nello sviluppo e nella pianificazione di nuovi progetti. Per i prossimi anni prevediamo invece un incremento di 3-400mila metri quadrati all’anno, pochi se pensiamo alla media di 6-700mila del recente passato. Saranno però centri di qualità più elevata, molto curati e in bacini d’utenza scelti attentamente. La crisi è pertanto divenuta sinonimo di qualità, laddove a una crescita lenta, fa da contraltare l’eccellenza”.
Le problematiche da superare però sono ancora molte e, secondo Vismara, sono essenzialmente di due tipi: “Dal lato dell’immobiliarista bisogna fare i conti con business plan ridotti, una estrema attenzione ai costi, perché se è vero che la qualità si eleva, è anche vero che i canoni di locazione sono calati. Inoltre, in Italia è sempre necessario fare i conti con le lungaggini della burocrazia, che rimangono un elemento di incertezza. I retailer, invece, stanno facendo molta attenzione all’impatto che sta avendo l’e-commerce sui sistemi distributivi. La prospettiva per i centri commerciali sarà quella di alzare il livello di appeal in termini di comfort e di accoglienza alla clientela”.
Una strada di mercato che sembra essere tracciata anche dall’esigenza di un contenimento dei costi. “Ma i retailer devono comunque impegnarsi a investire, perché non può essere solo l’immobiliarista a farlo – ammonisce Vismara –. Le lungaggini burocratiche evidenziano come il nostro mondo abbia bisogno di ossigeno, di margini di azione più ampi”.
Nel resto d’Europa, per l’ad di Larry Smith la situazione è piuttosto omogenea, con il centro nord in fase di grande boom: “Attualmente stiamo assistendo allo svilupparsi del fenomeno dei megacentri in alcuni grandi Paesi. Progetti con 400 negozi e 200mila metri quadrati, che prevedono anche l’integrazione con “leisure” e tempo libero. Sarà interessante capire quando tutto questo arriverà anche in Italia”.

L'Italia rimane la Mecca dei turisti dello shopping

Uno dei dati più preoccupanti che caratterizza l’Italia è sicuramente quello della sfiducia dei consumatori. Una tendenza che è concausa del perdurare di uno stato di stagnazione. “Non c’è ripresa e pertanto questo si traduce in una contrazione della domanda – analizza Roberto Meneghessio, country manager Italia & regional operation director southern Europe di McArthurGlen Group –. Questo è uno scenario sicuramente europeo, anche se l’Italia ne soffre maggiormente”.
Il nostro rimane comunque uno dei paesi preferiti da parte dei turisti, specie per quanto riguarda il comparto del luxury. In particolar modo, i consumatori provenienti dalla Russia e dai paesi ex sovietici si sono dimostrati quelli più importanti in termini di acquisti, almeno fino allo scoppio della crisi. Anche cinesi e coreani hanno fatto registrare numeri interessanti, minori in termini di numerica rispetto ai russi, ma con una spesa media più elevata.
“Esistono segnali di ottimismo, ma non si riscontrano negli italiani – ammette comunque Meneghessio –. Circa il 40% della popolazione ritiene che non sia ancora arrivato il periodo peggiore della crisi. Anche il turismo ha subito una lieve battuta d’arresto a causa del rafforzamento dell’euro che ha frenato il commercio e pertanto è difficile immaginare lo scenario futuro”.
Date queste premesse, per il manager di McArthurGlen il 2014 sarà più difficile rispetto allo scorso anno, nel quale il giro d’affari del gruppo ha toccato i 917 milioni di euro, con un aumento a doppia cifra rispetto al 2012. “Gli investitori stranieri portano la loro liquidità dove il rischio è minore e l’Italia è percepita come tale – conclude Meneghessio –. Nel 2013 gli investimenti sono stati importanti, abbiamo inaugurato nuove superfici di vendite e anche il turismo è incrementato. Siamo soddisfatti del risultato ottenuto lo scorso anno, ma per il 2014 ci aspettiamo uno scenario sicuramente più complesso”.

Nuovi centri in Italia, ma all'estero si sperimenta di più

Nonostante il drastico ridimensionamento degli investimenti verificatosi negli ultimi anni, non mancano comunque i progetti interessanti messi in cantiere dai vari player del mercato.
A ottobre 2013 ha aperto i battenti la fase 3 del centro di Castel Guelfo, con un investimento importante da parte di Neinver di circa 4,5 milioni di euro. Nuovo è il look della piazza, arricchita di una struttura di forma ovale con un perimetro esterno completamente in vetro a firma dell’architetto americano William Taylor, che ospita nuove unità di vendita per una superficie di 1.200 mq di Gla.
Cogest ha aperto il 3 aprile Il Cuore Adriatico di Civitanova Marche, un centro commerciale con locomotiva firmata Finiper e 70 negozi, tra cui H&M e alcune insegne del gruppo Inditex. All’esterno, nel Parco Commerciale integrato, sono presenti tre grandi superfici (con Euronics e Obi). Entro l’autunno, inoltre, aprirà anche la seconda fase (Blocco Nord) di Niguarda Shopping Gallery, il centro commerciale realizzato all’interno del più grande ospedale milanese.
John Lang LaSalle punta invece sull’area dove stanno sorgendo le strutture dedicate a Expo 2015. Prosegue infatti il progetto di Cascina Merlata, uno shopping mall da 70mila mq che sorgerà proprio nella zona antistante i padiglioni dell’esposizione universale. Sarà il progetto più importante della zona ovest di Milano e la sua commercializzazione allo stato attuale sta avendo molto successo.
In Italia, Larry Smith punta sulle nuove realizzazioni a Nichelino (Carrefour) e Verona Porta Nuova, ma i progetti più interessanti saranno sicuramente all’estero. In particolar modo Brasile, dove è stato fatto un grosso passo in avanti verso la commercializzazione di un nuovo centro e Cina. Nel paese asiatico presto vedranno la luce due importanti progetti: un outlet a Chongqing, una metropoli di 30 milioni di abitanti e il quartiere commerciale di Nimboh, città a sud di Shanghai a vocazione turistica, che potrebbero essere un volano per la valorizzazione dei prodotti italiani in Cina.