A dispetto della lenta ma costante tendenza al calo dei consumi di vino, in Italia si sta affermando un bianco per il quale si segnala il continuo aumento del gradimento e del numero delle bottiglie stappate. Si tratta dell’Ortrugo, ottenuto solo sulle colline della provincia di Piacenza partendo dalle uve di un antico vitigno della zona che porta lo stesso nome.

A sostenerne lo sviluppo stimolando la domanda è stato il Consorzio dei Colli Piacentini che all’Ortrugo ha dedicato una serie di degustazioni e una giornata di dibattito con autorevoli esperti del settore al Vinitaly 2011. I quali hanno ricordato come fino a poco meno di quattro decenni fa le uve Ortrugo venivano usate solo in miscela con altre bianche della zona per produrre vini locali, soprattutto Trebbianino Val Trebbia e Monterosso Val d’Arda.

Nei primi anni Settanta è invece stato riscoperto il valore del vitigno vinificato in purezza (o con almeno con il 90% di uva Ortrugo). Da allora l’ascesa del vino che ne risulta è continuata senza sosta. Dai consumatori sono molto apprezzati l’Ortrugo frizzante e spumante, versioni per le quali, tra l’altro, questi acini sono particolarmente vocati grazie all’elevata acidità; più raramente gli estimatori nostrani lo scelgono fermo, forma preferita dagli stranieri. In tutto attualmente se ne producono 3 milioni di bottiglie.

Le prime notizie documentate sulla coltivazione dell’Ortrugo risalgono al 1818, quando il vitigno venne indicato come «varietà a bacca bianca» originaria del territorio piacentino. Nel Bollettino del Ministero dell’agricoltura del 1881 che elencava i vitigni di uva del territorio, la varietà fu catalogata come “Artruga” e, nel 1912, Giovanni Pallastrelli, che dal 1906 al 1913 fu tra i professori della cattedra ambulante di agricoltura della provincia di Piacenza, parla di “Altruga” collocandola tra i vitigni piacentini di pregio. L’Altruga o Artruga o anche Artrugo derivano, ma non è certo, dalla storpiatura di «altra uva». Sicuro, invece, è che il nome Ortrugo viene codificato per la prima volta nel 1927 da Guido Toni, anch’egli tra i professori della cattedra ambulante piacentina.

Un merito particolare i viticoltori piacentini lo riconoscono Luigi Mossi che a metà anni Settanta aveva deciso di estirpare una vigna di Ortrugo molto vecchia in Val Tidone. L’anno prima dell’estirpazione pensò di vinificarne l’uva. Il risultato fu così interessante che posticipò lo sradicamento delle viti e ne fece ricavare le barbatelle, cioè le talee necessarie per il trapianto. Così questa varietà abbandonata cominciò a essere vinificata come tale. Da lì iniziò l’avventura: altri produttori la provarono con successo e nel 1984 l’Ortrugo divenne doc riscuotendo un’ottima accoglienza sul mercato.