L’effetto Covid-19 non risparmia neanche i marchi iconici: così Dunkin’ - fino a gennaio 2019 Dunkin' Donuts -, sinonimo di caffè e ciambelle al forno, ma anche di muffin e panini dolci, ha annunciato la possibile chiusura di 800 locali, su circa 9.500, nel territorio domestico degli States entro la fine del 2020.

La compagnia, fondata nel 1950 a Quincy, Massachusetts, dall’imprenditore William Rosenberg, conta oggi, nel mondo, 13.100 punti di ristorazione e più di 1.000 affiliati. La catena è attiva in 41 Paesi, fra Americhe, Asia, Africa ed Europa, dove è diffusa in Spagna, Regno Unito e Germania.

In Italia il marchio ha tentato un approccio nel 1999, ma, solo tre anni dopo, nel 2002, l'ambizioso progetto, che prevedeva 12 aperture, specie nel travel retail, è naufragato.

Dal punto di vista finanziario il gruppo è solido e, secondo Statista, ha fatturato 1.370,23 milioni di dollari nel 2019, contro i 1.321,62 del 2018 e i 538 del 2009, cifre che testimoniano una crescita costante. Ma, nel secondo trimestre del 2020, l’insegna ha perso il 18,7% dei ricavi a rete costante, a causa dell’emergenza sanitaria, anche se in luglio i negozi hanno ritrovato un certo dinamismo.

Le nuove chiusure, che rappresentano poco meno dell’8% della rete domestica e il 2% delle vendite locali, vanno a sommarsi al fermo di 450 punti di ristoro presso altrettante stazioni di carburanti targate Speedway.

La situazione è ad alto a rischio in quanto gli Usa sono, attualmente, uno dei Paesi più colpiti dal Coronavirus, con 4,6 milioni di contagiati e 680.000 morti. Non a caso di recente sono circolate voci, smentite il 31 luglio dal presidente, Donald Trump, di un possibile, nuovo fermo del commercio e di una cancellazione di varie attività ad alta densità sociale.

Sebbene in molti dei 50 Stati il lockdown sia terminato ai primi di maggio – le date esatte dipendono dagli esecutivi locali e non dal governo federale – l’impatto sulla ristorazione, peraltro meno violento di quello sui grandi magazzini, già in crisi prima della pandemia, si è rivelato comunque apocalittico. Si stima che il Covid-19 abbia stroncato qualcosa come 200.000 locali, che non hanno più le sufficienti risorse per mantersi sul mercato e che, si teme, chiuderanno i battenti entro la fine di quest’anno.