La Competition and markets authority, l’equivalente britannico della nostra Agcm, ha bocciato la fusione tra Sainsbury’s (oltre 1.400 supermercati) e Asda (più di 630 punti di vendita).

Il deal avrebbe portato, secondo il parere della Cma, a una distorsione dei prezzi di vendita, dando vita a un colosso con un perimetro di circa 2500 unità, al netto della rete carburanti (125 aree di servizio), un fatturato aggregato di 50 miliardi di sterline, più del 30% di quota di mercato, anche grazie alla forte presenza online dei due protagonisti.

La delibera di Cma ha suscitato grande clamore negli Usa, in quanto la fusione annunciata un anno fa, avrebbe consentito, fra l’altro, al colosso americano Walmart – proprietario di Asda – di estendere ulteriormente i propri interessi nel Regno Unito.

Nel suo rapporto finale l'Autorità scrive che l’operazione, se attuata, avrebbe finito per interessare tutti i consumatori inglesi, e non solo quelli residenti nelle aree in cui i negozi Sainsbury's e Asda entrano in sovrapposizione.

Rileva Stuart McIntosh, presidente del gruppo di inchiesta: “E’ nostra responsabilità proteggere i milioni di acquirenti delle due insegne. In seguito alla nostra indagine abbiamo riscontrato che questo accordo avrebbe comportato un aumento dei prezzi, una riduzione della qualità e della scelta dei prodotti, una peggiore esperienza di acquisto. Abbiamo dunque concluso che la soluzione più efficace fosse di bloccare la fusione”.

I dirigenti dei due gruppi, ovviamente, non hanno gradito. In particolare Mike Coupe, amministratore delegato di Sainsbury’s e grande architetto della trattativa, ha dichiarato che, al contrario, il principale obiettivo del matrimonio era di assicurare una diminuzione dei prezzi e che Sainsbury’s aveva quantificato i ribassi in un 10% già nel primo anno, sia per i prodotti grocery, sia per le benzine.