Il food&beverage è sempre meno rischioso. È questo quanto emerge da uno studio di CRIF Ratings che, sulla base di fonti proprietarie, rileva un calo dei default all’interno del settore, sia con riferimento a incagli e sofferenze bancarie (conosciute anche come tasso di default Basilea ‘past-due 90’), che relativamente a fallimenti, liquidazioni e, più in generale, procedure concorsuali e pregiudizievoli (tasso di default pubblico).

Nel 2016 il tasso di default Basilea è sceso al 3,6% dal 4,4% del 2015, confermando un trend di contrazione iniziato nel 2014 (5,3 dopo il 6,2% del 2013). Nel contempo, si è ridotto anche il tasso di default pubblico, attestatosi, nel 2016, allo 0,7 dallo 0,9 del 2015, un livello molto inferiore a quanto rilevato nel 2013 (1,6%).

“Il profilo di rischiosità finanziaria del settore è in miglioramento già da qualche annospiega Ilenia Sabato, rating analyst di CRIF Ratings -. D’altronde, già a partire dal 2014, anno in cui la congiuntura macroeconomica nazionale inizia a dare qualche segnale di ripresa, è evidente un costante processo di miglioramento delle principali metriche del credito”. L’andamento dei tassi di default sembra infatti fortemente correlato alle performance economico-finanziarie delle imprese alimentari.

Fra il 2013 e il 2015 la marginalità operativa lorda (Ebitda/Fatturato) è costantemente cresciuta, passando dal 6,7 al 7,6%. Allo stesso tempo, buoni segnali vengono anche dalla leva finanziaria (Debito finanziario lordo/Ebitda). La contrazione dal 3,5x del 2013 al 3,2x del 2015 segnala una migliore sostenibilità finanziaria dell’indebitamento.

Se il calo dei default, registrato tra il 2013 e il 2016, ha diffusamente coinvolto la gran parte del food&beverage, è allo stesso tempo interessante notare come alcuni segmenti si caratterizzino per livelli di default strutturalmente più ridotti. È questo il caso di ‘coloniali’ (caffè, tè, infusi e spezie), vino e pasta, che nel quadriennio 2013-2016 hanno mediamente registrato tassi di default, pubblici e Basilea, inferiori alla media rilevata per l’intero alimentare.

Con riguardo ai default Basilea, a fronte del 4,9% del comparto, nel quadriennio in questione coloniali, vino e pasta, hanno archiviato una media, rispettivamente, del 3%, 4,1 e 4,6. Relativamente ai default pubblici, a paragone dell’1% del complessivo, tra il 2013 e il 2016 coloniali, vino e pasta hanno fatto segnare, rispettivamente, 0,7%, 0,9 e 0,5 per cento.

Secondo CRIF Ratings ad accomunare i segmenti merceologici meno rischiosi sono un’elevata propensione all’export e una buona marginalità operativa.
“L’accesso ai mercati esteri è un driver rilevante del profilo di business delle imprese alimentari, considerato il tendenziale e costante spostamento delle vendite al di fuori dei confini nazionali”, commenta ancora Ilenia Sabato. A tale proposito, tra i segmenti industriali più avanti nel processo di internazionalizzazione commerciale rientrano proprio vino, pasta e coloniali, per i quali la propensione all’export (rapporto tra esportazioni e fatturato) si attesta rispettivamente al 52, 33 e 29%, rispetto a una media del 23% per l’intero alimentare italiano.

Discorso simile può essere esteso alla marginalità operativa delle vendite; l’Ebitda margin dei tre segmenti risulta nel 2015 pari, a 12,2% (coloniali), 10,0% (pasta) e 9,2% (vino). Si tratta di una marginalità ampiamente superiore a quella rilevata per il complessivo comparto food (7,6% nello stesso anno) a testimonianza del buon posizionamento di prezzo di cui le aziende appartenenti a questi segmenti godono, soprattutto sui mercati esteri.