di Maria Teresa Giannini

In Apofruit si è conclusa la terza di quattro liquidazioni, quella che interessa in prevalenza le mele del gruppo Gala, le pere autunnali William, l’uva senza semi, i kaki e le susine angeleno. Nonostante il calo di prodotto, il valore netto della liquidazione si è attestato su 10 milioni e 863mila euro, in crescita dell’1,2% e con una media al chilo che ha segnato un incremento del 32 per cento. Tutto ciò avviene a un anno dalle gelate eccezionali della primavera 2021. Ne abbiamo parlato con Mirco Zanelli, direttore commerciale di Apofruit.

Com’è andato il 2021, complessivamente, in termini di volumi e fatturato?

Siamo in attesa del dato relativo al kiwi giallo di Zespri che influenzerà la cifra finale: si tratta di un frutto raccolto la scorsa primavera, che è andato sul mercato nell’inverno 2021 e nei primi mesi del 2022, perciò avremo, solo fra poco, un dato consolidato. In termini di volumi complessivi per la cooperativa, l’annata che si è appena chiusa vede un -15% di conferimento di prodotto a causa delle tante problematiche climatiche e se, mediamente, i risultati dei prodotti sono da considerarsi buoni, va detto che essi non sono equamente ripartiti tra le aziende, poiché queste non hanno raccolto prodotti tutte in egual misura. Nel 2021 il conferimento è stato circa 1milione e 400mila quintali di frutta per un fatturato ipotizzato di 300-320 milioni di euro. Per il 2022 le previsioni di conferimento dovrebbero tornare attorno a 1 milione e 700mila quintali, clima permettendo.

Di che entità è stato il danno provocato dalle gelate di marzo-aprile 2021? Quali frutti hanno reso meglio nell’anno ormai chiuso?

L’ondata di gelo della scorsa primavera è stata dell’ordine dei -6°, -7° e si è abbattuta sui raccolti durante la piena fioritura di prodotti destinati alla commercializzazione nel 2021 e nei primi mesi del 2022: questo ha danneggiato, in primis, le pere, per volumi di oltre 60-70% in meno, ma anche colture estive come pesche nettarine e albicocche, calate del 50% rispetto a un’annata normale, o i kiwi, che hanno perso il 15-20 per cento. L’impatto maggiore sulla produzione per la situazione attuale lo avremo in questa campagna: dall’inizio dell’anno, infatti, i nostri soci stanno subendo la carenza di concimi e fertilizzanti e un aumento dei costi incontrollato, dovuto al conflitto Russia-Ucraina. Diciamo che dati indiscutibilmente buoni si sono avuti per i piccoli frutti, le albicocche, le pesche nettarine, i cachi e le fragole...

A proposito di fragole, ora siamo di nuovo in piena stagione, come pure per gli asparagi. Come sta procedendo la raccolta?

Per le fragole siamo circa al 25% del raccolto, cioè 4mila tonnellate su un totale atteso introno alle 15mila. Gli asparagi, invece, causa temperature basse, sono agli inizi della raccolta, in ritardo rispetto alle aspettative; purtroppo, le prime settimane di mancata resa non si recuperano e questa tipologia di verdura sconterà una minore disponibilità fino a metà giugno, fin quando cioè l’inflorescenza sarà chiusa e commestibile.

E per l’import/export?

Il nostro fatturato viene realizzato per il 50% sul mercato italiano e per il restante 50% in tutta Europa. Su alcuni prodotti realizziamo una quota significativa oltreoceano, soprattutto grazie ai frutti meno deperibili come uva, mele, kiwi.

Che spazio ha l’agricoltura biologica nel mondo Apofruit?

In Apofruit si pratica sia agricoltura classica sia, per un buon 30%, agricoltura biologica.

Quali iniziative, in senso di agricoltura sostenibile, vengono prese dalla cooperativa e dai soci?

La sostenibilità è un capitolo estremamente vasto, che abbraccia la sfera ambientale e quella economica. Il 50% dei contributi comunitari che la cooperativa riceve, sono destinati alle attività sul campo, dalle coperture antigrandine, antipioggia e anti insetto (come la cimice asiatica) a impianti di irrigazione di precisione, dall’installazione di capannine metereologiche all’uso di insetti pronubi per l’impollinazione e per l’eliminazione dei parassiti. Tuttavia, l’intero sistema deve diventare più sostenibile anche in senso economico per le aziende del settore. Non tutto si può ridurre alla sola sostenibilità ambientale, perché ne perderebbero l’indotto e il tessuto sociale di quel territorio. L’agricoltura va invece vista come un insieme virtuoso, che preserva i territori, sfruttandoli in modo razionale e prevenendo il loro dissesto idrogeologico e come un basilare generatore di lavoro. Questi temi andrebbero messi in primo piano: e non solo dall’Ue, ma dalla strategia nazionale.

Di fronte a elementi circostanziali nuovi, come la strategia Farm to Fork dell’Unione europea, qual è la considerazione che Apofruit tributa ai nuovi metodi di coltura, come l’idroponico e il verticale?

La produzione idroponica è una bellissima novità sperimentale ma è legata a colture orticole che presentano quantitativi medio-bassi. Le nostre sono aziende agricole estensive, legate a metodi tradizionali.

Alcuni dei vostri soci hanno dichiarato di essere preoccupati per la carenza di manodopera stagionale. Questo cosa ci dice sullo stato di salute del mercato del lavoro agricolo?

La questione della manodopera in agricoltura è sempre stata affrontata con modalità e tempistiche emergenziali. Sicuramente scandali e azioni illegali, come il caporalato, diffondono una cattiva pubblicità e, d’altra parte, le rimostranze degli agricoltori creano l’impressione di un settore “accartocciato sui propri problemi”, cosa che non aiuta, ma se anche la stragrande maggioranza degli imprenditori che rispettano contratti, impegni sanitari e di sicurezza, comunque non trova personale, ciò significa che il Paese ha un problema strutturale. A farne le spese è la sostenibilità delle aziende e la qualità del prodotto, in un frangente in cui aumentano i costi per i materiali, la logistica, l’energia elettrica. La scuola potrebbe sicuramente aiutare ad avvicinare nuove risorse all’agricoltura, scardinando una vecchia immagine del mestiere contadino e informando sull’importanza di questo settore: il lavoro nei campi resta duro, ma oggigiorno è solo in parte manuale e gli imprenditori spendono in innovazione, meccanizzazione, ricerca sul territorio. La strenua volontà dell’Unione Europea di concepire e adottare la strategia Farm to Fork e la guerra in Ucraina ci stanno insegnando, una volta in più, che il nostro sostentamento alimentare non si può demandare, per quote così rilevanti, ad altri.