di Maria Teresa Giannini e Luca Salomone

Quando si parla di IV gamma, un mega-mini mondo che vale quasi un miliardo di euro, c’è bisogno di un discorso schietto e ampio, che superi il mero piagnisteo per i rialzi dei listini. Ne è convinto Massimo Bragotto, direttore generale di Cultiva, l’organizzazione italiana di produttori, con sede a Taglio di Po (Rovigo), che lavorano in regime di agricoltura classica e biologica. Bragotto, attivo nel mondo del food da 35 anni, ha un passato in multinazionali e si definisce profondo conoscitore della IV gamma, nella quale lavora da 17 anni. Per questo le sue parole di autocritica in merito al settore hanno un sapore amaro… almeno quanto il radicchio rovigotto.

Qual è oggi il vostro fatturato?

Abbiamo fatturato in totale 40 milioni: 20 in Europa, di cui 10 in Italia e 10 nel resto del continente, soprattutto Inghilterra, area Nord e Balcani; gli altri 20 oltreoceano, tra California e Florida. In America abbiamo registrato una forte crescita, molto più contenuta in Italia e in Europa (+4-5%). Quest’anno ci siamo concentrati sul valore: abbiamo tagliato molte referenze quando non valeva la pena produrle.

Tutti i settori sono in crisi in questo momento. Perché trova che la IV gamma lo sia più di altri?

Il motivo è semplice: questo è un comparto molto meno strutturato di altri, caratterizzato da una grande facilità di accesso che, negli ultimi 25 anni, ha portato sul mercato tante persone, quasi tutte provenienti dal mondo agricolo, ossia grandi conoscitori dei prodotti, ma con meno cultura in fatto di mercati, di tendenze, di grande distribuzione, di approccio economico, di marketing di prodotto, di esigenze e bisogni del “nuovo consumatore”. Questo ha inflazionato il mercato della IV gamma di aziende (oggi circa 120) che, magari, grazie a finanziamenti dell’Unione europea, hanno comprato una linea usata, l’hanno installata in un capannone di proprietà, vicino all’azienda agricola, e servono una decina di supermercati in zona: i loro prezzi sono alti... al minimo indispensabile per essere competitivi rientrando dei costi fissi e non sono frutto di un preciso bilanciamento investimenti-benefici.

Però, oltre alla qualità del prodotto in sé, un altro requisito della IV gamma è l’igiene e la sicurezza alimentare. Com’è possibile che piccole o anche non necessariamente piccole ma poco strutturate imprese siano capaci di fare concorrenza alle aziende meglio organizzata?

A dire il vero gli standard minimi di accesso non sono particolarmente alti e quindi abbastanza facili da raggiungere e qui si potrebbe ragionare: è arrivato il momento di alzare l’asticella di ingresso alla categoria? A complicare la situazione c’è il fatto che , in un simile frangente di perdita di potere d’acquisto del consumatore, le catene di grande distribuzione, che devono coniugare l’esigenza di restare competitive con un’inflazione a due cifre, strizzano l’occhio a tali proposte, poiché permettono loro di calmierare un po’ i prezzi: non dimentichiamo che l’ortofrutta pesa il 10% del totale supermercato (se parliamo di IV gamma, che è intorno al 10% del totale ortofrutta, ma con margini quasi doppi) ed è la prima area in cui il consumatore nota i rincari o, peggio ancora, l’area maggiormente presa di mira durante i vari servizi o speciali Tv. La IV gamma ha anzitempo assunto un ruolo di “commodity” mentre dovrebbe essere costituita da “prodotti di destinazione” con ancora ampi spazi di crescita e maggiori segmentazioni, verso il basso, ma anche verso l’alto di gamma. In questo modo si riuscirebbero a gestire: margini, crescita e immagine di convenienza. Per fare ciò le aziende fornitrici dovrebbero essere capaci di alzare gli standard qualitativi: cultura, sicurezza, innovazione, tecnologia, digitalizzazione in campo, capacità di essere consulenti per il trade, supportare e sviluppare l’innovazione di prodotto e la crescita delle Pl/Mdd (leader di mercato con quasi il 70% di quota) dove richiesto.

Di chi la colpa?

La responsabilità è in gran parte nostra: non siamo riusciti ad argomentare la qualità, il lavoro nei campi, la dimensione del mercato, e così il trade ha fatto ciò che sa fare molto bene: comprare al meglio. E’ partita da qualche anno una guerra orizzontale fra categorie per abbassare sempre di più i prezzi. Bisognerebbe accompagnare i consumatori a scoprire il mondo della IV gamma, perché tocchino con mano quanto è affascinante e complessa la sua gestione, fra controlli in azienda agricola (la propria, o quella dei conferitori), cernita, monda, 3-4 lavaggi, catena del freddo, controlli qualità e confezionamento, oltre a studi di mercato, analisi del consumatore, marketing e comunicazione.

Ma davvero il prezzo dei prodotti di IV gamma è così basso?

Sì: parliamo di merce che dovrebbe arrivare al cliente finale almeno al 20% in più. Venti anni fa questa era una gallina dalle uova d’oro, al contrario, oggi, molti dovrebbero chiedersi se convenga ancora occuparsi di IV gamma o, per chi ne è in grado, se passare alla V gamma, con prodotti più innovativi come zuppe, burger vegetali, grigliati, oppure concentrarsi sulla I gamma (vendita della materia prima tal quale, o di insalate non lavate) con economie di scala e dimensioni diverse. Tornando all’analisi dei costi, questi sono per metà attribuibili all’area agricola (sementi, concimi, lavoro nei campi) e per metà a quella industriale con fattore umano, logistica e ovviamente energia, i due ultimi esplosi a causa della speculazione. Quindi la stessa insalata quest’anno arriva già caricata del 25-30% in più rispetto al precedente: consideriamo che, solo per lavarla e conservarla, è necessario mantenere una temperatura fra i 2 e i 4 gradi centigradi per tutto l’anno per 24 ore al giorno, e che la movimentazione finale oggi incide per il 18-19% sul prezzo al consumo, mentre nell’era pre-Covid era al 13 per cento. Un’altra voce di spesa sono le plastiche, siano esse Pet, riciclate o di derivazione naturale, che hanno subito incrementi decisamente alti.

A questo proposito, anni fa nel vostro settore si parlava di plastiche speciali per risolvere il problema dell’etilene che si forma all’interno delle confezioni. Voi usate plastiche particolari?

Sì, certamente: utilizziamo plastiche anti-fog, in grado di impedire la formazione di quell’umidità di troppo che ridurrebbe la scadenza. Da parte nostra, abbiamo ridotto del 16% il peso della plastica. Va detto che esistono mezzi che permettono di produrre plastiche-non plastiche, chiamate Pla, a base di mais, o di altre materie prime naturali, ma esse sono arrivate a costare “un’enormità” in più rispetto alle tradizionali e spesso non sono così performanti: difficili da trattare in produzione, spesso meno trasparenti e con una sgradevole sensazione al tatto. Cultiva utilizza PP5 a basso micronaggio, un materiale riciclabile al 100%

Come Cultiva punterete a prodotti ad alto valore aggiunto come grigliati, zuppe e insalatone, visto che la fetta maggiore di prodotto fresco (il 68%) è ormai in mano alle private label?

C’è già un’offerta molto variegata di grigliati, zuppe, o ciotole arricchite. Entrare per ultimi ci costringerebbe a rincorrere gli altri, o a millantare prodotti miracolosi. La strategia di Cultiva consiste nell’essere bravi, competitivi e seri in quello che sappiamo fare meglio: valorizzare quello che i soci producono, che è 100% nazionale, con una produzione 20% bio (contro il 10% di media Paese), per quanto riguarda l’Italia, e continuare il grande lavoro sulle esportazioni, puntando sia sull’Europa sia sugli Usa, dove abbiamo anche un’importante partnership con il più grande 'quartagammista' al mondo (Taylor Farms) che ha raggiunto 6 miliardi di dollari di giro d’affari.

Producete formati e confezioni destinate appositamente al mondo del food service?

Si, attraverso packaging ad hoc, con vasconi da 500, 750 o 1000 grammi. Si va dalle miste, baby leaf, alle misticanze, le stesse che vendono meglio nei supermercati. Un altro canale interessante è il cash-and-carry. Il suo principale cliente, l’Horeca, anche se viene da due anni devastanti di pandemia, è in ripresa ma non può essere approcciato con la stessa busta del supermercato, bensì con sistemi come l’easy peal e confezioni dedicate. Un canale in forte crescita, su cui abbiamo cominciato da poco a lavorare, è l’industria, ossia il mondo dei preparati per le pizze, per i ripieni, per i tortellini ecc. Per ora siamo molto contenti anche perché, in quest’ambito, ci sono programmi a lungo termine e innovazioni che vengono gestite insieme.

Quale sarà la prossima sfida della IV gamma, secondo lei?

Provare a fare squadra per diminuire i costi che dobbiamo sostenere, senza per questo abbattere il prezzo al consumo. Mi riferisco ad accordi, anche temporanei, in chiave logistica, in chiave produttiva o, magari, solo per lo scambio di know-how. D’altronde quello di pensare solo al proprio orticello è un problema atavico italiano. Penso sia tempo che gli operatori del settore inizino a guardare in modo un po’ più illuminato al futuro e che comincino a “coltivare” capacità manageriali. In tempi di “vacche grasse” pianificare interessava a pochi: chissà che, in un simile momento di difficoltà, la categoria faccia di necessità virtù.