di Maria Teresa Giannini

Fairtrade è un’organizzazione internazionale che, attraverso il proprio marchio, certifica che le materie prime commercializzate siano state acquistate a un prezzo equo per i produttori. A oggi nel mondo essa coinvolge quasi 2 milioni di agricoltori e lavoratori in 70 Paesi. I prezzi all’origine delle materie prime certificate Fairtrade sono pubblici, consultabili in ogni momento e fungono da elemento di trasparenza per le filiere trattate, tanto che alcune insegne internazionali hanno cominciato a considerarli come benchmark di riferimento.

In Italia, dopo 29 anni, il suo iconico bollino si trova su vari prodotti: tra gli alimenti, ricordiamo banane, ananas, zucchero, tè, caffè, spezie, cacao, e cibi che li contengono; nel non-food ci sono, invece, gli ingredienti per cosmetici (come il burro di karité), i fiori recisi e il cotone, usato per indumenti e shopper.

Nel febbraio 2022, le istituzioni europee hanno cominciato a lavorare a una nuova Direttiva sull’obbligo di diligenza aziendale in materia di sostenibilità e diritti umani, che modifichi la vecchia 2019/1937. A questo proposito, Fairtrade Italia ha voluto far luce su alcuni aspetti, attraverso le parole del suo direttore commerciale, Thomas Zulian.

Perché la prospettiva di nuove norme sulla due diligence è importante per la supply chain delle materie prime?

Questa proposta pone l’Ue in primo piano nel panorama globale e la scelta della Direttiva, come strumento normativo, obbliga finalmente tutti gli Stati membri, specie quelli in cui non sono ancora in vigore leggi sulla due diligence ad affrontare il tema. Per la prima volta si riconosce il fatto che le politiche di acquisto in molti casi non tengono conto dei diritti umani, si prova a spingere le aziende a investire lungo le filiere e si sancisce il concetto di “reddito dignitoso” come diritto.

Eppure, Fairtrade Austria e Fairtrade Spagna hanno presentato osservazioni e critiche alle istituzioni Ue in merito al testo della futura Direttiva: in qualità di Fairtrade Italia le condividete?

Come “sistema Fairtrade” siamo tutti allineati e chiediamo una due diligence “forte”, che spinga le aziende ad attivare meccanismi di monitoraggio e rimedio alle violazioni lungo le proprie filiere. Tuttavia, la proposta europea, secondo noi, ha anche dei punti di debolezza. Innanzitutto, i contadini e i lavoratori come persone dovrebbero essere inclusi nella Direttiva, sia perché sono portatori di diritti in quanto soggetti direttamente interessati, sia perché possono aiutare a identificare gli impatti negativi e a sviluppare piani di prevenzione/azione correttivi. In secondo luogo, la Direttiva (stando a quanto enunciato nelle premesse) dovrebbe avere lo scopo di incentivare i rimedi alle violazioni, aumentare la cooperazione lungo le filiere e non favorire l’abbandono di quelle che denunciano dei problemi; invece, in più articoli, sono contenuti “escamotage” che consentono alle aziende di interrompere le loro relazioni commerciali. L’attuale proposta, poi, copre solo l’1% circa delle imprese a livello europeo e riguarda solo relazioni commerciali consolidate, mentre, per molte delle commodity di cui ci occupiamo, i contratti sono trimestrali e si basano su future.

Quali sono i mercati da cui si riforniscono le aziende italiane che lavorano con la certificazione Fairtrade?

Sicuramente Repubblica Dominicana ed Ecuador per le banane; Honduras e Nicaragua per il caffè; Costa d’Avorio, Ghana e Perù per il cacao.

Come e in quali casi Fairtrade ha sostenuto concretamente miglioramenti in termini di benessere economico, sociale e consapevolezza dei diritti, nelle comunità dei Paesi di origine delle materie prime?

Il “Premio Fairtrade” nell’ultimo decennio ha rappresentato più di 1,5 miliardi in valore, da investire nelle imprese e nelle comunità. Solo nel 2021, per esempio, le organizzazioni Fairtrade hanno ricevuto il +4% di premio rispetto al 2020 per le sette principali commodity: significa 190 milioni di euro. Ma il nostro impatto va oltre il benessere economico. Uno studio, svolto da una società tedesca di audit e che è stato pubblicato a marzo 2022, rivela che, soprattutto in tempi di crisi globale, le cooperative di agricoltori certificate Fairtrade sono più solide, perché godono di una gestione trasparente, caratterizzata dalla democraticità nei processi decisionali. La collegialità, inoltre, secondo lo stesso studio, favorisce la sostenibilità, inducendo le cooperative a prendere decisioni legate alla dimensione ambientale, sociale ed economica.

Com’è andato a livello mondiale il 2021?

Le vendite sono state incoraggianti, specialmente per alcune categorie: i coltivatori di cacao e fiori recisi hanno visto la crescita più significativa, rispettivamente 37% e 21% sui volumi di vendita.

A livello globale Fairtrade lavora con 2.568 aziende e, nei supermercati di tutto il mondo, si vendono circa 37.600 prodotti. Ma nel nostro Paese in quante aziende si vendono prodotti con bollino Fairtrade?

Ad oggi in Italia lavoriamo con 294 soggetti. Anche se non abbiamo ancora una visione complessiva sul 2022, finora i dati di cui disponiamo segnalano un trend di crescita dei volumi, in linea con l’anno precedente. Guardando invece ai dati consolidati del 2021, siamo molto soddisfatti: in totale gli italiani hanno speso 553 milioni in prodotti contenenti almeno un ingrediente Fairtrade.

Quali le referenze Fairtrade più richieste dai consumatori nel 2021?

Le banane restano il prodotto più venduto (14.230 tonnellate), dopo la flessione avvenuta nel periodo dell’emergenza Covid-19. Le vendite di zucchero si attestano a 5.158 tonnellate (+10%), dal cacao e dai prodotti a base di cioccolato (8.909 tonnellate, + 9%), cresciuto, quest’ultimo, soprattutto grazie ai consumi domestici. Anche i volumi di caffè venduti sono aumentati del 5% rispetto al 2020, superando le 840 tonnellate.

Come sono i vostri rapporti con la Gdo in Italia e come si coniuga il bisogno di un commercio equo che assicuri a ciascun lavoratore una retribuzione minima superiore alla sussistenza con l'esigenza di "primo prezzo"?

La collaborazione con la distribuzione è positiva. Oggi sono circa 13mila i punti vendita in cui un consumatore può trovare il nostro bollino. A quasi trent’anni dall’uscita della prima mattonella di caffè Fairtrade, sugli scaffali di Coop, sono ormai centinaia i prodotti certificati disponibili nelle marche private di molte insegne come Conad, Selex, Carrefour, Despar, Pam, solo per citarne alcuni. In merito ai discount, lavoriamo già da parecchi anni con varie insegne, per esempio Lidl, In’s Mercato e Aldi, che hanno ampliato molto la loro offerta Fairtrade, anche dietro la spinta dei consumatori. Le nostre regole, però, non cambiano in base al canale di vendita: miriamo a proteggere, anzitutto, gli agricoltori, che spesso sono l’anello debole nelle catene di fornitura globali.