di Armando Brescia e Maria Teresa Giannini

Nel marzo 2023 Granarolo è stata protagonista di un aumento di capitale da 160 milioni di euro. A entrare nel gruppo emiliano, con una propria quota, è stato il Fondo nazionale strategico (costituito da Cdp ed Enpaia), che si aggiunge ai già presenti Cooperlat, Intesa Sanpaolo e Granlatte, la cooperativa di oltre 600 produttori che mantiene la maggioranza e che partecipa, anch’essa, alla ricapitalizzazione.

L’operazione, volta a rilanciare il marchio leader in Italia per la produzione di latte e prodotti caseari, è l’ultima di una serie di rafforzamenti aziendali avvenuti nel 2021-22, un biennio in cui Granarolo ha risposto alle difficoltà del mercato interno con una strategia commerciale basata su tre “pilastri”: internazionalizzazione, maggiore sostenibilità e diversificazione di prodotto, come ci spiega Filippo Marchi, direttore generale del gruppo.

Nel periodo 2021-22 Granarolo è stata protagonista di alcune acquisizioni, in Italia e all’estero. Qual è lo scopo?

Siamo molto concentrati sull’internazionalizzazione, che oggi pesa per il 40%. Stiamo dando sempre più spazio al mercato estero per bilanciare i consumi interni che, nell’ultimo biennio, sono stati abbastanza negativi a volume (anche a valore, su alcune categorie di prodotti). Il nostro modello è sempre di produrre in Italia e vendere all’estero; tuttavia, per farlo oggi non è più sufficiente partecipare alle fiere ed essere dotati di validi agenti: bisogna insediare siti produttivi nei Paesi con cui si aprono canali commerciali, avere un paniere che includa anche specialità locali accanto a prodotti italiani. È questo che ti rende interessante agli occhi del buyer, come abbiamo fatto in Francia, dove rappresentiamo una reale alternativa ai competitor europei, o mondiali con un portafoglio ampio e variegato.

Come è stato il 2022 e come si è concluso?

L’anno scorso è stato particolarmente difficile, per noi come per altri. Già intorno ad agosto 2021 avevamo delle avvisaglie, che più tardi si sono concretizzate nel 28-30% di inflazione sul nostro settore: cifre simili, per una realtà come Granarolo, significano tanto in termini di rapporto costi/fatturato. Nonostante tutto, siamo riusciti a chiudere in positivo, con un leggero utile, che è una buona notizia se si considera che circa 200 milioni di euro sono stati erosi dai rincari energetici e della materia prima dovuti all’inflazione. I nostri dati lasciano pensare che il fatturato consolidato ammonterà a 1 miliardo e mezzo, con una crescita attorno al 15%. Il 2022 è stato caratterizzato da forti aumenti di prezzi, è vero, ma sono anche state condotte analisi interne per cercare l’ottimizzazione su tutti i livelli, sulla produzione, la logistica, la distribuzione. Ci siamo concentrati sui prodotti di punta, che interessano di più i nostri clienti intermedi e i consumatori, operando un’azione di ‘decomplexity’. Insomma, abbiamo cercato di sfruttare il momento di criticità per diventare più essenziali ed efficienti.

Cosa prevedete per l’anno in corso e come si è chiuso il primo trimestre?

A valore cresciamo intorno al 10-11%; a volume soffriamo, perché il mercato interno sta arretrando pesantemente. D’altra parte, siamo ormai abituati a gestire l’incertezza. Penso che il 2023 non sarà facile. Scontiamo il clima di scombussolamento internazionale, ma soprattutto la questione energetica: oggi paghiamo 50 euro MWh, che sono sicuramente meno dei 300 euro a MWh del 2022 ma anche molto più dei 18-19 pre-Covid. Inoltre, fin quando l’inflazione non smetterà di galoppare, la politica di alti tassi d’interesse inciderà sulla performance. Se l’anno scorso ci concentravamo sulle marginalità, quest’anno saranno gli oneri finanziari l’elemento determinante, anche perché, dopo 10 anni di quantitative easing e tassi d’interesse quasi negativi, oggi le banche tirano sempre più il freno. Abbiamo già ritoccato i listini, ma non potremo continuare per sempre.

A proposito di listini, come gestite l’ineluttabilità di questa misura con la vostra controparte, la Gdo? Vi viene riconosciuta, o crea attriti?

Nel corso del 2022 ci siamo confrontati, in modo trasparente, con i nostri clienti ricevendo la loro comprensione e abbiamo mostrato loro come sia stata scaricata a valle solo una parte dell’inflazione. Nei mesi di luglio, agosto e settembre 2022 una gran quantità di merce mancava all’appello a causa di un calo di produzione di latte: in quei momenti il nostro primo problema era riuscire a consegnare il carico ai retailer.

Si sta parlando molto della questione “allungamento” della data di scadenza…

Da questo punto di vista Granarolo ha fatto una scelta molto chiara. Da gennaio 2023 abbiamo cominciato la vendita di latte a 15 giorni, grazie a una tecnologia esclusiva che ci dà un prodotto “intermedio”, tra il fresco e quello a lunga conservazione, senza controindicazioni per la salute, o menomazioni organolettico-nutrizionali. La shelf life a 6 giorni era una prerogativa solo italiana: con tutto quello che stiamo vivendo a livello ambientale, sociale ed economico, non è etico sprecare quasi il 30% tra ciò che si produce e ciò che si consuma in casa. Non dimentichiamo poi, che un prodotto con scadenza breve dev’essere consegnato 7 giorni su 7: questo invece arriverà 3 volte a settimana, a carichi pieni e magari generando meno emissioni.

Come sono i primi riscontri?

Sono assolutamente positivi. Questo cambiamento è coerente con il concetto di sostenibilità ,che tutti sbandierano e pochi praticano e, per questo, sia i clienti intermedi, sia i consumatori finali ci premiano. Questa è la linea che stiamo seguendo e la comunicheremo nei prossimi mesi in modo più dettagliato.

Ha parlato di comunicazione: continuerete il percorso che avete già intrapreso?

In queste settimane siamo sugli schermi con il nuovo spot che vede protagonista il nuotatore Gregorio Paltrinieri che ci sta aiutando a promuovere l’assortimento di lattosati e cibi funzionali e proteici, che stanno spopolando. Questa campagna durerà 5 settimane e poi, a giugno, comincerà quella sui formaggi. Con le materie prime che salgono di costo, si cerca di offrire valore aggiunto superiore per giustificare l’aumento dei prodotti finiti: oggi il consumatore cerca esperienze nuove, valori nuovi, è sempre più attento agli aspetti salutistici, ha bisogni specifici, quindi il prodotto generalista diventa una commodity e cala in valore e volume, mentre i segmenti emergenti, ancora piccoli, messi insieme, sono arrivati a pesare anche il 50% del mercato negli anni e danno prospettive di marginalità maggiori.

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