di Luca Salomone

L’Irlanda, secondo Info mercati esteri - del Mise e di Ice agenzia -, ha esportato, verso l’Italia, prodotti per un totale di 5,2 miliardi di euro durante il 2021. Se è vero che le prime due voci sono la farmaceutica e la tecnologia, sicuramente l’agroalimentare è molto importante, anche per la forte immagine di qualità della tavola irlandese. Abbiamo chiesto a James O’Donnell, direttore Italia di Bord Bia, ente governativo dedicato allo sviluppo dei mercati di esportazione dei prodotti alimentari, bevande e prodotti ortofrutticoli irlandesi, di parlarci delle eccellenze food del proprio Paese e dei loro punti di forza.

Siete grandi esportatori. Quali sono i motivi storici?

L’Irlanda è un Paese di appena 5 milioni di abitanti, ma con una forte produzione agroalimentare. Dunque, è, per natura, orientata ai mercati esteri, mentre l’Italia, ma anche l’Europa in generale, sono forti consumatrici di alcuni nostri alimenti di punta, come la carne. È evidente – quindi - che esista un punto di incontro tra un’offerta eccellente, che rispetta i più alti standard di sostenibilità, e una domanda che si mantiene molto elevata. E parlo di sostenibilità perché, indubbiamente, le persone sono diventate sempre più attente nelle proprie scelte e se la carne deve oggi convivere con le proteine vegetali, la loro espansione ha colpito più che altro quei prodotti che non si sono del tutto adeguati ai nuovi bisogni di un mercato sempre più selettivo.

Le fanno paura le proteine veg?

No, crediamo nell’importanza di una dieta equilibrata e l’esplosione di questi prodotti ribadisce quanto le dicevo: il consumatore è sempre più attento a un’alimentazione leggera, sana e naturale e a questi trend devono adeguarsi anche i migliori produttori di carni, che, anzi, hanno già compiuto, in molti casi, una svolta, che è, in fin dei conti, una scelta di qualità lungo tutta la filiera zootecnica e un segno di rispetto verso il cliente finale. È per questo che non penso che la domanda di carne potrà mai essere sostituita, specie se parliamo di alimenti con un elevato profilo nutrizionale. E infatti il mercato europeo ha performance sempre molto interessanti per la zootecnia e la relativa industria di trasformazione. Non dimentichiamo, infine, che la carne è molto presente negli stili alimentari mediterranei, specie del Sud Europa, e dunque si tratta di stabilire un equilibrio tra proteine animali e vegetali.

Facciamo un passo indietro. Questi ultimi due sono stati, probabilmente, gli anni peggiori dell’epoca contemporanea. Come è andata al made in Ireland?

Con la pandemia, l’inflazione, la guerra russo-ucraina, tutto è stato indubbiamente più difficile sia per i consumatori, sia per i produttori e per l’economia in generale. I costi dell’esportazione, ovviamente, sono aumentanti anch’essi. Ma le nostre vendite oltre confine hanno continuato a funzionare molto bene, in special modo per le carni di manzo, di agnello e l’ittico. Entro la fine del 2022 l’Irlanda dovrebbe completamente recuperare i propri flussi verso l’Italia e il resto del mondo, tornando ai livelli pre-pandemici.

Salmone e agnello sono per voi sfide del futuro?

Il segmento dell’ittico vuol dire per noi, da un punto di vista dell’export verso l’Italia, soprattutto scampi e crostacei. Anche il salmone è di qualità molto elevata, con un 90 per cento di prodotto biologico che oggi viene esportato principalmente in Francia e Germania, mentre le vendite in Italia sono ridotte ma in crescita. Al contrario l’agnello è veramente una grande opportunità, anche perché, in Italia e altrove, è sempre meno un prodotto pasquale e, del resto, noi lo alleviamo per l’estate, ossia da maggio a settembre. L’agnello irlandese è totalmente cresciuto all’aperto e ha una stazza maggiore: gli chef italiani quando lo assaggiano rimangono stupiti dalla sua qualità.

Parliamo di canali distributivi. Cosa ci dice la vostra partnership con Federcarni?

Nell’estate del 2021 Bord Bia e Federcarni, la federazione italiana macellai, hanno stretto una partnership per promuovere e valorizzare un prodotto di eccellenza come la carne irlandese. Questo perché il canale tradizionale rappresenta un grande punto di riferimento per i migliori prodotti ed è, quindi, un luogo di vendita e decisione di acquisto molto importante. Ed è anche un posto giusto – data la competenza degli esercenti - per comunicare e presentare il prodotto. Il macellaio ha un contatto diretto con il consumatore e gode della sua fiducia. È un ottimo ‘ambassador’ che, per di più, è alla costante ricerca di novità da proporre alla clientela, alla quale consigliare anche i tagli e le modalità di cottura più giuste.

E la Gdo?

Certamente è per noi un grande partner, un canale fondamentale che mette a disposizione tanti ottimi retailer. È anche un altro luogo ottimale per dare visibilità al nostro marchio e claim ‘Buona per Natura’. In Esselunga, per esempio, il nostro prodotto è altamente riconoscibile, in quanto presente nella parte del banco self-service dedicata alle carni premium. La carne irlandese, quando è confezionata, ha un packaging altamente sostenibile e con il 70 per cento di plastica in meno e anche questo ci permette di veicolare, a tutto tondo, il nostro messaggio di sostenibilità. Lo stesso vale per il banco macelleria assistito dei supermercati, dove siamo, ancora una volta, fra gli esponenti dell’alta qualità.

Il benessere animale è oggi sempre più importante. Quali sono le scelte dell’Irlanda?

Qui il nostro Paese non solo segue gli standard dell’Ue, ma anche li supera. L’allevamento è, in massima parte, all’aperto e avviene in un contesto di aziende familiari e con una tradizione centenaria. L’allevatore ha un rapporto di rispetto con il bestiame, che in questo modo non subisce stress e si nutre in modo naturale, soprattutto con erba. Le buone pratiche derivano da precisi criteri e regole, racchiusi, fondamentalmente, nel programma ‘Origin green’: nato nel 2012 come piano nazionale riguarda 53 mila allevatori e 300 aziende di trasformazione alimentare. Viene testata, ogni 18 mesi, l’impronta di CO2 e vengono, man mano, fissati obiettivi di impatto sempre più ridotti. Degli audit si occupano enti indipendenti, i quali ci attestano che, nel tempo, i migliori risultati sono stati conseguiti nei settori lattiero-caseario e delle carni. Il messaggio, in sintesi, è che l’Irlanda, davvero, produce il cibo in armonia con la natura e questo da molto tempo prima che la sostenibilità diventasse anche una moda o, nel peggiore dei casi, un puro concetto di marketing.

Come si posizione l’Italia tra i vostri importatori?

Il principale Paese acquirente è per noi il Regno Unito, ma l’Italia, che acquista made in Ireland alimentare per 350 milioni, è fra i primi tre mercati continentali. Ma va anche detto che gli irlandesi sono forti consumatori di made in Italy alimentare. Sulle nostre tavole i prodotti favoriti, all’interno di un totale di 260 milioni di euro - ma su una popolazione, lo ripeto, di 5 milioni di persone, contro i 60 dell’Italia - sono i grandi classici: il vino, la pasta e le conserve di pomodoro.