Ma è vero che gli outlet sono stati uno dei segmenti retail maggiormente penalizzati dal Covid? Non c’è dubbio, ma, per Scalo Milano Outlet & More, il complesso commerciale di gruppo Lonati a circa 15 minuti dal capoluogo meneghino, le cose non sono andate così. Il centro, di circa 35.000 mq e 150 negozi e con un piano quinquennale che lo porterà intorno a 45.000 mq di superficie lorda affittabile, ha tenuto botta egregiamente. Il perché ce lo spiega l’amministratore delegato, Davide Lardera.

Tutto andava bene. Poi è arrivato il Covid…

Purtroppo, in tutti i sensi e ha colto impreparati non solo gli operatori economici, ma il mondo intero. Tuttavia, lavorando per una proprietà indipendente, come Gruppo Lonati, i nostri tempi di reazione sono stati tempestivi e hanno permesso di capire da subito che il problema era grave, per noi e, soprattutto, per i tenant. Cosa fare, visto che, già a marzo 2020, i commercianti ci hanno fatto presente le loro preoccupazioni?

Appunto: cosa fare?

Ci illudevamo, noi come tutti, che il lockdown sarebbe stato più breve e, si sperava, anche la pandemia. Il 26 marzo, in ogni caso, abbiamo formulato una prima proposta e, dato il perdurare dell’allarme, siamo tornati sul tema il 20 aprile, con una seconda piattaforma di agevolazioni, per venire incontro ai bisogni delle insegne. A questo punto, per evitare contenziosi e un clima di generale insoddisfazione, abbiamo deciso, in Cda e con i nostri legali, di investire proprio sui commercianti: il costo fisso dell’affitto, diventato molto oneroso per la chiusura, è stato sgravato della parte Mbr, ossia quella fissa, sostituita da una percentuale sul fatturato. Con questo sistema i giorni di fermo sono diventati, dal punto di vista locativo, a costo zero. Con un canone trimestrale, generalmente pagato con una dilazione di 30-40 giorni, i flussi di cassa sono diventati tali da sostenere una quota sull’incasso. E infatti i contenziosi sono stati nulli.

Ottima mossa. Ma nel frattempo non è arrivata, comunque, una paralisi?

No: la nostra azione ha aumentato la fiducia dei tenant e ha fatto sì che alcuni marchi addirittura investissero, per esempio sulla formazione e sul contenimento dei tagli al personale, una pratica che diventa un boomerang quando l’attività riparte. Il buonsenso ci ha guidato lungo tutta la crisi, permettendoci di andare avanti molto meglio di altri, con una flessione, sul 2019, limitata al 30% del fatturato aggregato contro una media del 50 per cento. Certo ha giocato anche una location ‘anomala’ per un outlet, ossia a 15 minuti dal centro di Milano, mentre i concorrenti sono a distanze ben superiori.

E oggi?

Parliamo, prima, di ieri. A novembre ci siamo accorti che l’emergenza perdurava e abbiamo esteso la moratoria fino a 31 giugno 2021. Qualcuno, a questo punto, ha persino deciso di non aderire, confidando comunque in fatturati interessanti, che avrebbero reso non conveniente il pagamento di una percentuale. La situazione fluida ci ha permesso di lavorare in un clima disteso e di festeggiare l’arrivo di nuovi marchi a fronte di chiusure che, per lo più, avevano le proprie ragioni nel periodo ante covid. Cito solo il caso di Rifle, fallita lo scorso ottobre, dopo una lunga sofferenza. Così sono entrati, in varie date ma comunque in tempo di pandemia, Fracomina, Maria Grazia Severi, Triumph, Breil, Hoddie Hot Dog (Mama Burger), Roy Roger’s, North Sails, I Love Poke, Braccialini, Murphy & Nye, mentre con altri nomi stiamo ancora portando avanti le negoziazioni. Inaspettato lo sbarco di due esponenti della ristorazione, anche se parliamo di brand attrezzati per il delivery.

Facciamo un passo indietro: come è andata la stagione natalizia e prenatalizia?

È stata complessa e, potenzialmente, penalizzante. Sommando un calendario non certo ottimale - ricordo solo che il 27 dicembre era una domenica e il 2 e 3 gennaio un fine settimana - e le chiusure forzate, che hanno ‘bruciato’ il 27 novembre, Black Friday, le vendite sono state tuttavia importanti. Di nuovo ha giocato la location, ma anche la voglia di ‘revenge spending’ che, almeno nella ricca Milano, è intensa. Dall’11 aprile, con la Lombardia in zona arancione, l’affluenza è aumentata drasticamente, mentre ora, con la zona gialla, sta andando anche meglio. Rimane la paura, più che legittima, di una grave crisi economica. Il divieto di licenziamento, anche se prorogato, non può durare in eterno, come un corposo recovery plan, da 248 miliardi, non può sanare tutte le ferite del Covid. Il nostro bacino, alto spendente, ampio, con conti correnti gonfi di risorse, terrà, ma ci saranno sicuramente, in giro per il Paese, vere ‘bombe’ socioeconomiche.

Quali sono attualmente i veri nodi da scogliere?

Oggi il nodo incomprensibile riguarda il motivo per cui i commercianti delle grandi strade dello shopping possono restare aperti e noi, che abbiamo grande spazio, parcheggi, sevizi navetta e rigidi controlli informatizzati e, nel nostro caso, messi a punto con le Forze dell’ordine, siamo comunque costretti a perdere le giornate festive. È una misura che, se non altro, alimenta l’affollamento nelle high street, non certo raccomandabile in presenza di una pandemia che, sebbene tramortita, è ancora in atto. Aggiungo che Scalo Milano ha deciso di chiudere le porte in presenza di flussi rilevanti e questo per evitare anche assembramenti esterni. E con ciò non abbiamo perso clienti: i nostri visitatori si sono dimostrati flessibili e capaci di attendere anche 20 minuti, pur di entrare. Certo si spera nella ripartenza e tutte le grandi associazioni del commercio hanno firmato, nei giorni scorsi, una richiesta di confronto indirizzata, in primis, alla Presidenza del consiglio e al Ministero della Salute. Tanto più che Scalo Milano, come gli altri attori del sistema dei centri commerciali, non ha chiesto niente a nessuno e non ha avuto ristori, o sostegni, che dir si voglia.

E poi avete formulato un ambizioso piano quinquennale…

Bisogna avere il coraggio di investire nei periodi difficili e quindi, fra cinque anni, l’outlet salirà intorno ai 45.000 mq, interessando un bacino di utenza che comprenderà tutta la Lombardia. Torneranno anche i turisti e, del resto, persino nel 2020 i turisti sono stati tanti quanti erano nel 2019. Abbiamo infatti scoperto che, a Milano, ci sono 470.000 expat, ossia non residenti che, soprattutto se connessi al mondo del business o della diplomazia, dispongono di ottime condizioni retributive. Anche in prospettiva è una fascia molto interessante: quando ricominceranno i viaggi essi porteranno in città amici e parenti.

Quali saranno gli elementi di attrazione?

Sarebbe una lunga lista, ma ci saranno maggiori servizi, come risulta dal nostro piano di sviluppo urbano, avviato da quella che è in fondo una startup, nata appena nel 2017 e aperta al pubblico da maggio 2018. Parlo di Esselunga locker, delle colonnine di ricarica auto e dl coworking, tutti molto adatti a creare ulteriori motivi di frequentazione. I locker, per esempio, sono un potente invito per tutti i cittadini di quei comuni del circondario nei quali manca un punto vendita Esselunga. Molti clienti, che pure gradiscono di venire a Scalo Milano, vogliono anche potervi ritirare la propria spesa alimentare. È ovvio che poi, per noi, l’outlet resti centrale, ma è altrettanto evidente che il consumatore, una volta arrivato qui, finisce per acquistare anche qualcos’altro, fosse solo un semplice caffè. Lo stesso per il futuro coworking, un servizio importante per chi non ha un ufficio proprio o un’abitazione ampia.

Altri progetti?

L’outlet online è sicuramente in lista: per andare incontro ai tenant abbiamo già creato Scalo Milano @ Casa, dove, si può comprare tramite WhatsApp business scegliendo fra una quarantina di marchi aderenti. Il vero e-commerce è più complesso, visto che presuppone l’iniziativa dei singoli commercianti i quali, spesso, non fanno capo a grandi aziende, già dotate di un proprio sito di vendita. Sicuramente oggi non si può pensare di non avere una piattaforma che aiuti il consumatore e lo raggiunga ovunque, ma con discrezione.

Cosa ne pensa delle grandi insegne del pronto moda come tenant?

Non rientrano nel nostro piano perché sarebbero, in fondo, degli outlet nell’outlet e sottrarrebbero molto passaggio. Del resto, per il momento non vi rientrano nemmeno i marchi del lusso: contiamo di riceverli nel giro di un paio d’anni, tempo necessario per prepararci ad accoglierli al meglio. Sia chiaro: i nostri sono sempre dei marchi prestigiosi, ma sono accessibili. E proprio questo prestigio ha permesso loro di resistere durante la pandemia. Ma le grandi aziende costituiscono solo il 30% della nostra offerta, mentre il restante 70% è costituito da attività familiari.

Allora dov’è il segreto?

Il segreto non c’è… La nostra capacità di tenuta risiede intanto, nelle strategie tipiche dell’outlet, che fanno sì che essi ripartano sempre prima dei negozi a prezzo pieno. Ma ancora più importante è la nostra location, di fatto urbana, che determina una minore concentrazione delle vendite – 45% contro una media del settore del 70 per cento circa - nel fine settimana: grazie alla vicinanza con la città i giorni di punta, in pandemia, si sono spostati sul giovedì e venerdì e, del resto, il complesso non è mai deserto, specie nel tardo pomeriggio-sera, fino alle 21, ora di chiusura. In un investimento commerciale, la collocazione è decisiva e fa sì che Scalo Milano, nell’isocrona dei 30 minuti, abbia 2 milioni e mezzo di potenziali clienti, per giunta con il reddito pro capite più alto d’Italia. Se gli altri outlet sono diventati ben poco accessibili, per motivi di distanza e di limitazione degli spostamenti regionali e comunali, Scalo Milano ha dimostrato, proprio durante il Covid, il suo vero valore che è, in fondo, il vicinato, un vicinato che, insieme al prezzo, ci consente di competere con le vie del centro. In questo senso persino le Regioni blindate sono state un vantaggio, visto che i milanesi non si sono allontanati, forzatamente, dal bacino urbano. Tutto questo ha consentito ai consumatori della grande area Metropolitana Milanese di conoscere ancora meglio la realtà di Scalo Milano.

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