Salov, nata a Lucca 101 anni fa, è una delle grandi protagoniste dell’olio extra vergine d’oliva, con i marchi Sagra e Filippo Berio. Il 2020 è stato un anno record: fatturato consolidato a 335 milioni e 598.000 euro (+21% su base annua), vendite pari a 120 milioni di litri (+32%), utile netto di 12 milioni e un Ebitda di 26 milioni, in netta crescita. Nel 2019 il gruppo, con sede e stabilimento a Massarosa (Lucca) e una solidissima rete internazionale, ha avviato un piano triennale di investimenti da 15 milioni di euro, che, una volta a regime, consentirà al gruppo toscano di incrementare la propria capacità di altri 20 milioni di bottiglie. A spiegarci il perché della rincorsa è l’amministratore delegato, Fabio Maccari.

Esplosione retail?

È proprio così. La nostra azienda, in tutto il mondo, è impegnata soprattutto nella distribuzione moderna. Nel 2020 il prezzo della materia prima è calato e dunque le aziende hanno guadagnato di più e avuto maggiori risorse, ma soprattutto, a causa del Covid, le vendite si sono concentrate nel retail e i consumi domestici hanno tirato la volata. Non dimentichiamo che l’olio è l’ingrediente e il condimento per antonomasia e dunque un compagno inseparabile delle moltissime persone che hanno scoperto, o riscoperto, il piacere di cucinare. Non solo: in Paesi che non hanno una forte vocazione oleicola, come è invece il nostro, le persone hanno aumentato il proprio interesse verso l’extravergine italiano e lo hanno inserito, in modo molto più stabile, nei propri acquisti, con un effetto positivo che si è consolidato in questa fase di rientro dell’emergenza sanitaria. È accaduto un po’ ovunque, a partire dai nostri maggiori Paesi target, come Usa, Russia, Gran Bretagna… E perciò prevedo un 2021 con una tendenza forse più moderata, ma ancora molto proficua per Salov.

Quanto conta l’export?

Tantissimo, visto che Salov vende ben l’80% delle proprie bottiglie in circa 75 nazioni. In Italia, storicamente, il nostro marchio è Sagra, sul mercato dagli anni Cinquanta e acquisito nel 1975. Il brand che però più ci rappresenta è Filippo Berio, che abbiamo portato nella nostra Penisola nel 2020 e che, dopo un periodo in fondo breve, ha già un 35% di distribuzione ponderata. Tuttavia, il mercato nazionale è affollato e dunque un nuovo prodotto deve avere un perché, che risiede nel Metodo Berio.

Di cosa si tratta?

Il Metodo Berio si fonda su quattro pilastri ed è del tutto trasparente, visto che, attraverso il numero di lotto chiunque, collegandosi al nostro sito, può sapere tutto del prodotto che sta portando in tavola. I punti cardine sono: la sostenibilità ambientale attraverso l’adozione, da parte delle aziende agricole fornitrici delle materie prime, dei protocolli di agricoltura integrata, dimostrati da certificazioni specifiche; la tracciabilità, che abbraccia in modo completo ed esaustivo tutto il prodotto; la definizione di parametri chimico-fisici e organolettici più stringenti rispetto alla normativa comunitaria vigente; la certificazione dell’intero processo da parte di un ente terzo, individuato in SGS, che attesta sia la qualità del prodotto, sia la sostenibilità ambientale.

La notizia del giorno è, appunto, il vostro primo bilancio di sostenibilità. Parliamone…

Il documento, davvero molto ampio, ma anche discorsivo e facile da leggere, redatto secondo gli standard GRI, vuole, tutto sommato, raccontare Salov da un diverso punto di vista, quello della sostenibilità. Uscirà ogni due anni e nasce come un progetto da condividere con tutti gli stakeholder e con i nostri collaboratori, che sono portatori di nuove idee, oltre che della propria esperienza. Molto difficile riassumere tutto. Dico solo che innovare significa, per noi, produrre meglio consumando meno risorse, meno materiali di imballaggio, meno energia, meno acqua e generando meno CO2. È grazie alla ricerca e all’innovazione che oggi Salov si trova allineata sia agli Obiettivi di Sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 Onu, sia al Green Deal e al Farm to Fork dell’Unione Europea. Destiniamo sempre parte delle nostre risorse a R&D e alla costruzione di collaborazioni con autorevoli poli accademici e centri di ricerca. Senza questi elementi non avremmo potuto conseguire i risultati attuali sotto il profilo dell’efficienza. Abbiamo risparmiato, per esempio, il 22% di energia termica, abbattuto significativamente la CO2 liberata in atmosfera, grazie a un impianto di trigenerazione che produce quasi il 50% dell’elettricità necessaria al nostro impianto di Massarosa (Lucca). Le emissioni dirette di monossido di carbonio sono calate del 48,44 per cento.

Immagino che ci sarebbe tanto altro da dire. Ma apriamo una finestra sugli aspetti agricoli, fondamentali per un’azienda oleicola…

Sono davvero fondamentali, perché portano al miglioramento della filiera che è, di per sé, una delle grandi componenti dell’innovazione. Sempre vicino allo stabilimento di Massarosa abbiamo uno dei nostri fiori all’occhiello, Villa Filippo Berio, con 75 ettari di oliveto che produce, fra l’altro, olio Igp toscano. Qui sviluppiamo progetti di sostenibilità, di cui uno, di livello europeo, condotto con importanti atenei esteri, per combattere la Xylella fastidiosa. Con il CNR- IBE (Istituto per la Bioeconomia) stiamo testando forme di agricoltura di precisione – basate su tecnologie come droni, satelliti, centraline wireless – per identificare quello che accade in tutte le aree dell’oliveto, intervenendo solo là dove serve e quando serve e minimizzando interventi che, se svolti su larga scala, potrebbero, appunto, compromettere la sostenibilità. Il Cnr, poi, ha studiato e valorizzato, presso la nostra tenuta, una serie di cultivar toscane che, nel corso degli anni, sono state impiegate sempre meno e che potrebbero, invece, essere davvero utili per aumentare la biodiversità. Andiamo poi alla ricerca di metodiche che possano favorire un’agricoltura sostenibile, come gli inerbimenti giusti per richiamare insetti utili a scacciare specie dannose (fra le quali il Philaenus spumarius, noto come sputacchina e causa della Xylella fastidiosa), oppure sperimentiamo sistemi per attirare gli uccelli predatori degli insetti nocivi e studiamo e implementiamo sensori elettronici che rilevano in tempo reale la presenza di un attacco di mosca olearia nell’oliveto.

Secondo lei è difficile comunicare la sostenibilità?

Sta diventando più semplice, ma è comunque impegnativo. Credo, però, che sia un dovere, perché la sostenibilità va pensata su larga scala: se fosse elitaria perderebbe gran parte della propria ragione di essere. Il nostro approccio alla comunicazione è, dunque, a 360 gradi e parte dalla pubblicità classica, quella che raggiunge tutti. I temi vengono poi ripresi e approfonditi in vari modi: attraverso i canali social, mediante le attività di pubbliche relazioni, attraverso il packaging e le etichette e con tutti i sistemi, e sono tanti, a disposizione di un’importante realtà industriale. Questo perché la sostenibilità interessa e coinvolge un numero crescente di persone, specie giovani, ma non solo. E se è vero che le famiglie sono disposte a pagare un po’ di più per un prodotto veramente sostenibile è anche vero che Salov, come altri operatori di mercato, si è impegnata a mettere la sostenibilità alla portata di tutti, a renderla accessibile e non un lusso perché, come dicevo, è un obiettivo che riguarda tutti.

Torniamo agli aspetti commerciali. Siete presenti anche nella ristorazione?

Pur non essendo per noi il primo canale di sbocco, le stiamo dedicando molta attenzione e innovazione. Riteniamo che una presenza qualificata in questo canale possa dare molto prestigio. Se per la cucina abbiamo aggiornato la linea Sagra Professional, con grandi formati, utilizziamo invece una gamma dedicata di 9 referenze di Filippo Berio per la presenza in sala sulla tavola, proprio per l’accreditamento naturale che il ristorante può trasmettere alla marca. Non a caso abbiamo sponsorizzato ‘Cuochi d’Italia’, la trasmissione di TV8-SKY, condotta da Alessandro Borghese, Cristiano Tomei e Gennaro Esposito e poi MasterChef Italia, sempre di TV8-SKY che, da agosto, per la decima stagione, è in chiaro, alle 21 e 30 della domenica. E su questo versante ci saranno altre novità, perché siamo convinti che il nostro olio possa avere una propria ‘finestra’ di notorietà grazie alla credibilità dei cuochi e dei ristoranti che lo adottano.

Da tempo siete parte di un una multinazionale cinese dell’alimentazione e dunque orientati verso un grande, nuovo mercato…

Essere parte, dalla fine del 2014, di un gruppo cinese (Bright Food) è molto rilevante. La Cina ha un potenziale di consumo enorme, sia perché conta più di 1,4 miliardi di abitanti, sia perché l’olio, generalmente di semi, è molto utilizzato nella cucina locale. A questo punto uno dei nostri compiti sarà proprio di sviluppare il mercato locale, tanto che, nel 2020, abbiamo aperto la nostra filiale di Shanghai. Il consumo di olio di oliva, in Cina, oggi rappresenta solo l’1% del totale, ma i cinesi sono molto ben disposti. Dalle indagini risulta, che un terzo dei consumatori attuali, comunque 100 milioni di persone, utilizza l’extravergine per insalate ispirate alla cucina occidentale, un altro terzo lo inserisce nei piatti del proprio Paese e un terzo, addirittura, lo consuma tale e quale, come fosse un prodotto nutraceutico. E questo la dice lunga sulla potenzialità futura…