Nella primavera del 2018 Parmacotto è stata rilevata dall’imprenditore bolognese Giovanni Zaccanti, attuale presidente e già co-fondatore di Saeco e Caffitaly. È stato un passaggio chiave, che ha sottolineato la definitiva ripresa di un’azienda con oltre 40 anni di storia.
Presente sul mercato con una vasta gamma di salumi e affettati la società conta 2 stabilimenti produttivi nel parmense, a Marano e a San Vitale Baganza, 140 dipendenti e una rete di vendita di 100 agenti, attivi in tutta Italia.
Il 2018 è stato l’anno in cui Parmacotto ha raccolto i frutti di un grande sforzo di riorganizzazione e formulato molte nuove strategie, come ci racconta l’
Amministratore Delegato Andrea Schivazappa.

Come sintetizzerebbe il progetto di rilancio dell’azienda?

Soprattutto come una grande sfida, che ci ha dato tantissimo lavoro, ma altrettante soddisfazioni, coronate dal riconoscimento della nuova proprietà, che ha dimostrato di credere in noi. L’operazione è partita verso la fine del 2015, con la creazione di una squadra manageriale che si è concentrata sulla revisione della qualità dell’intero portafoglio prodotti. In questo il nome ‘Parmacotto’ ci ha aiutato, visto che il suo prestigio era comunque elevato. Un elemento decisivo è stata, evidentemente, la generazione di un flusso di cassa adeguato a sostenere lo sforzo in autonomia, dunque senza il supporto del sistema creditizio.

Quali sono le cifre chiave del 2018 e dell’immediato futuro?

L’anno si è chiuso con circa 75 milioni di fatturato, in crescita del 15%, e con un Ebitda intorno al 12%, mentre il nostro obiettivo al 2020 è di toccare la soglia dei 100 milioni. All’ordine del giorno ci sono soprattutto le vendite estere, oggi attestate sul 10% dei ricavi. È un capitolo che, nel 2016-2017, abbiamo dovuto in parte accantonare, per dedicarci alla ristrutturazione del business.

A quali Paesi sta pensando?

Oggi le aree più importanti rispecchiano la classica geografia dell’export agroalimentare italiano. Dunque parliamo soprattutto dell’Europa occidentale e centrale, e, segnatamente, di Francia e Germania. Ma prevediamo, già nel 2019, di arrivare a un’incidenza dell’estero pari al 25% del fatturato. Stiamo pensando di investire negli Usa, un mercato che offre grandi prospettive, ma vogliamo anche riappropriaci dei molti e interessanti sbocchi che offre il nostro continente, dove il made in Italy vuol dire qualità nella salumeria.

Sarete ancora sinonimo di prosciutto cotto?

Sicuramente. Pur avendo un’offerta completa nel mercato dei salumi il cotto di alta qualità rimane il nostro core business, con un’incidenza sui ricavi del 75%, un dato che comprende gli affettati e il banco taglio, due voci in grande equilibrio, in quanto si ripartiscono equamente il fatturato. All’estero invece, almeno al momento, l’interesse della distribuzione e dei consumatori converge, quasi esclusivamente, sul libero servizio.

Quali sono i canali commerciali più importanti?

Le nostre vendite sono concentrate nella Gdo, che polarizza il 65% del totale, mentre un altro 10% va ai discount. Il normal trade che, per noi, durante la fase di ristrutturazione, voleva dire il 15% dei ricavi, è destinato ad aumentare la propria incidenza grazie a un piano di investimento per il prossimo biennio. Il canale tradizionale si sta infatti evolvendo nella direzione dell’eccellenza della qualità, segmentando l’offerta dei prodotti in chiave fortemente selettiva. Si configura sempre più come un canale che consente qualificazione e alti posizionamenti. In questo contesto riteniamo di dover aumentare la penetrazione della marca Parmacotto grazie ai prosciutti cotti nazionali di alta qualità e alla nuova linea del territorio “I Racconti di Parmacotto”.

Avete partecipato all’ultima edizione di Marca. Cosa possiamo dire delle Mdd?

Questo ramo di attività viene affrontato con un taglio progettuale. Parmacotto non vuole essere un semplice fornitore, ma lavorare in partnership con il cliente. Visto che realizziamo il 75% del giro d’affari con i nostri marchi, è giusto che la nostra identità venga mantenuta. Certo l’evoluzione delle private label verso la fascia alta ci consente di proporci anche in questo segmento, dove stiamo già lavorando con quei partner che prestano particolare attenzione a qualità e territorialità dei prodotti.

Concludiamo con qualche parola sull’innovazione…

Nel nostro settore, come in una larga parte dell’alimentare, innovazione è soprattutto sinonimo di evoluzione in chiave salutistica e di benessere. Per questo abbiamo lanciato i salumi a ridotto contenuto di sale e antibiotic free, ma soprattutto progettato una filiera controllata, che parte dalla garanzia del benessere animale fino alla sicurezza massima del prodotto finito.

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