di Emanuele Scarci

A pochi giorni dalla chiusura della fiera bolognese Marca, l’industria del largo consumo torna a riprendersi la scena e avverte, a mezzo stampa, i distributori che di moratoria dei prezzi non ne vuole neanche sentir parlare: il confronto con i retailer è sempre stato maschio, ora può diventare cruento per le piccole imprese a margine zero. L’industria non accetta nemmeno tavoli ministeriali sulla regolazione dei prezzi perché si scontrerebbe con le norme antitrust. Inoltre, l’industria parla esplicitamente di dumping: la marca del distributore-civetta a prezzi scontati altera le regole della normale concorrenza.

Nel meeting di questa mattina, il presidente di Centromarca (a cui fanno capo 200 imprese del largo consumo), Francesco Mutti, ha ribadito la chiusura ai distributori e ha sostenuto le sue tesi con lo scudo dei dati Prometeia. Secondo le stime, anche ipotizzando il quasi totale trasferimento a valle dei costi sostenuti, circa il 30% delle aziende industriali del largo consumo si troverebbe comunque ad operare con margini negativi, accentuando una sofferenza già manifestata dal 23% dei produttori nel 2021. Il quadro è critico perché i costi non sono stati immediatamente trasferiti a valle a causa del divario temporale, di parecchi mesi, presente nel passaggio dei listini dall’industria alla distribuzione. Prometeia ritiene a potenziale rischio il 18% del fatturato dell’industria del largo consumo, rispetto al 16% medio stimato per il manifatturiero nel suo complesso.

Prometeia valuta che nell’alimentare le materie prime incidano in media per il 63% del fatturato. E soltanto la metà delle aziende oggi sarebbe in grado di assorbire il 50% degli aumenti dei costi operativi senza portare in negativo la marginalità.

Porta chiusa

Sull’ipotesi di moratoria degli aumenti dei listini, Mutti ha rimandato l’invito al mittente, spiegando che “determinerebbe distorsioni nella concorrenza non compatibili con la normativa antitrust. Inoltre, in base allo statuto, Centromarca non può assumere impegni per conto dei propri aderenti. Le aziende devono intervenire sui listini in totale autonomia, sulla base di strategie commerciali molto differenziate tra di loro”.
Mutti non ha preso in considerazione la differenza di marginalità media del 7% dell'industria del largo consumo contro il 2% della distribuzione moderna, ribadita ogni anno dal Rapporto Mediobanca. Il presidente ha sottolineato invece che il fatturato medio delle 59 mila imprese del largo consumo è di 3,5 milioni contro i miliardi delle catene commerciali, "che, in Francia, per esempio, possono decidere sulla vita o la morte di un impresa fornitrice".
Tuttavia Centromarca non ha chiuso la porta del tutto al dialogo con i distributori. Mutti ha detto che Centromarca “era e resta ampiamente disponibile a discutere con il Governo, ad uno stesso tavolo che coinvolga le aziende della moderna distribuzione, per ragionare su vie di sbocco percorribili a una situazione complessa che ha investito la filiera e il Paese”. Succesivamente, Centromarca ha precisato che al tavolo governativo si andrebbe per discutere di innovazione e sviluppo, ma non di moratoria dei prezzi.

L’arma della Mdd

Nel braccio di ferro fra industria e retailer rientra anche lo sviluppo della marca del distributore che nel 2022 ha sfiorato i 13 miliardi di euro. Di fatto il 75% del business è realizzato dai primi 3 retailer: Conad, Coop e Selex.

Sugli “squilli di tromba” che accompagnano la crescita della marca del distributore, Mutti ha detto: “Sono anni che sentiamo questi squilli di tromba. La penetrazione della Mdd rimane però limitata in Italia, siamo lontanissimi dalla Gran Bretagna. Dove, prima del covid, c’è stato anzi un ritorno d’interesse per la marca. Nel nostro paese i consumatori privilegiano la qualità dei prodotti e il motore dell’innovazione è alimentato dall’industria di marca”.

Sul tema, il general manager di Iri Italia, Angelo Massaro, ha sottolineato che “negli ultimi 6 mesi osserviamo una riduzione sugli scaffali dei prodotti a marca industriale che lasciano posto all’offerta delle Mdd. E ovviamente ciò che non si trova non si può comprare. Ciononostante, le grandi marche industriali continuano a costituire la parte preponderante del mercato italiano del largo consumo in ipermercati e supermercati. Ogni 100 euro spesi dalle famiglie per l’acquisto di beni primari in questi canali, circa 80 euro sono destinati all’acquisto di marchi industriali. La quota è leggermente inferiore nei primi tre retailer, ma si rafforza nel resto degli operatori”.

Infine, sulle prospettive dei prezzi nel 2023, Massaro ha ipotizzato due scenari: nel primo, quello della normalizzazione, l’inflazione media si assesterebbe al 3,5%. Nel secondo, il meno favorevole, i prezzi salirebbero ancora del 7% che si sommerebbe al 7,9% del 2022.