Sei istruttorie nei confronti dei principali operatori nazionali della grande distribuzione organizzata (Coop Italia, Conad, Esselunga, Eurospin, Auchan e Carrefour) per verificare una presunta pratica sleale a danno delle imprese di panificazione: questo il provvedimento deciso dall’Agcm.

I procedimenti, avviati su segnalazione della principale associazione nazionale di panificatori, Assipan-Confcommercio Imprese per l’Italia, sono volti ad accertare eventuali violazioni dell’articolo 62 del decreto-legge n. 1/2012 che regola le relazioni commerciali nella filiera agro-alimentare.

In concomitanza con l’avvio delle istruttorie, alcune delle società interessate dai procedimenti sono state ispezionate dai funzionari dell’Antitrust, coadiuvati dalla Guardia di Finanza.

La condotta contestata consiste nell’imposizione, ai propri fornitori di pane fresco, dell’obbligo di ritirare e smaltire, a proprie spese, l’intero quantitativo di invenduto a fine giornata. La differenza di valore tra il pane consegnato al mattino e quello reso la sera viene poi riaccreditata al compratore sugli acquisti successivi.

“La pratica – spiega una nota dell’Agcm - si inquadra in una situazione di significativo squilibrio contrattuale fra le catene e le imprese di panificazione (artigiane e con pochi dipendenti). In tale contesto, l’obbligo di ritiro dell’invenduto rappresenta una condizione contrattuale posta a esclusivo vantaggio della Dmo e determina un indebito trasferimento sul contraente più debole del rischio commerciale di non riuscire a vendere il quantitativo di pane ordinato e acquistato”.

La prassi costringe i fornitori a incaricarsi, oltre che del ritiro, anche dello smaltimento del “rifiuto” alimentare, in quanto l’interpretazione comunemente attribuita alla normativa vigente impedisce qualsiasi riutilizzo del pane invenduto a fini commerciali e persino la sua donazione a scopi umanitari, con un elevatissimo spreco di prodotto.

Sotto questo profilo, il fenomeno sotto inchiesta è già stato oggetto di svariate segnalazioni pubbliche da parte dell’associazione dei produttori, che lamenta non soltanto il carattere “vessatorio” dell’obbligo, ma anche le ampie e negative ripercussioni che esso produce sotto il profilo economico e ambientale.