La nuova proposta di legge sulle aperture domenicali ha creato un fronte compatto nella Gdo, a parte Coop, che si è espressa a favore della ricerca di “un nuovo equilibrio tra le esigenze dei consumatori e quelle dei lavoratori”.

Ma quanto è stata positiva la liberalizzazione decisa nel 2012 dalla legge ‘Salva Italia’? Secondo i dati di Federdistribuzione, molto, anzi moltissimo. L’associazione di categoria spiega che, da quanto emerge da proprie elaborazioni su dati aziendali e, in parte, su rilievi di Cgia Mestre e di Gfk (‘La liberalizzazione degli orari di apertura’, giugno 2018) a distanza di oltre 6 anni “si deve registrare che 19,5 milioni di persone comprano la domenica (il 75% di chi è responsabile degli acquisti in famiglia) e che, per il 58% dei cittadini, 15 milioni, l’acquisto domenicale è diventato un’abitudine consolidata”.

Nella Dmo sono 12 milioni i consumatori che acquistano ogni domenica e, se i punti vendita rimangono aperti 7 giorni su 7, il giorno di festa è il secondo per giro d’affari, con un 15% dell’incasso settimanale.

Sempre la Federazione aggiunte che non c’è stato il temuto crollo degli esercizi commerciali: “Secondo l’Osservatorio del Commercio del Ministero dello Sviluppo Economico, fra il 2012 e il 2017 il numero dei punti vendita, pur con la crisi, è sceso solo dell’1,4 per cento”.

Altre motivazioni a favore del mantenimento dello status quo sarebbero da ricercarsi nel cambiamento intervenuto negli stili di acquisto delle famiglie “che chiedono più opportunità e alternative per impegnare il proprio tempo libero, potendo scegliere, anche nell’intero week end, se andare al cinema, a teatro, in un museo, al ristorante o a fare shopping”.

Inoltre, con la normativa attuale, decisa in circostanze particolarmente critiche per l’economia, sono state garantite, come emerge dai dati aziendali, 24,5 milioni di ore lavorate in più, ed erogati, ogni anno, oltre 400 milioni di euro di stipendi in più, equivalenti a 16.000 posti di lavoro. Questo ha assicurato alla domanda un nuovo dinamismo, quantificabile in un +2% per il non alimentare e un +1% per l’alimentare.

Il risultato di una stretta, conclude la Federazione, si dimostrerebbe molto pesante sull’occupazione, se si ricorda che i consumi “non hanno ancora consolidato un robusto percorso di sviluppo e che le vendite al dettaglio, misurate dall’Istat, per i primi 5 mesi del 2018 sono in calo dello 0,2 per cento”.

Mario Resca, presidente di Confimprese, puntualizza che se la proposta del Movimento 5 Stelle, di 40 chiusure domenicali e festive dei negozi, dovesse diventare legge, alle imprese non resterebbe che licenziare e, per giunta, in tempi rapidi, per evitare perdite di fatturato e marginalità. “L’intero comparto – scrive Resca perderà 400.000 posti di lavoro e il 10% del giro d’affari, lasciando sul terreno il 15% della forza lavoro, in un Paese che ha un tasso di disoccupazione dell’11 per cento”.

Problematica anche la decisione di quali siano le città turistiche che potranno tenere aperti i negozi. “L’Italia – sostiene Confimprese - è un museo a cielo aperto, detiene il record mondiale di siti Unesco, è meta di turismo culturale, enogastronomico e di business. Il turismo gode di ottima salute, ma i turisti arriveranno nelle nostre città e troveranno i negozi serrati”.

Di diverso avviso è Confcommercio. Enrico Postacchini, delegato per le politiche commerciali, sostiene, in una nota, che “la deregolamentazione totale degli ultimi anni non ha prodotto significative ricadute sui consumi e sull'occupazione, né ha incrementato la concorrenzialità del settore, peraltro già ampiamente liberalizzato. Siamo, dunque, disponibili alla reintroduzione di una regolamentazione minima, a nostro avviso indispensabile per il mantenimento del pluralismo distributivo e come migliore garanzia per lo sviluppo delle realtà di ogni dimensione".

Rincara la dose Confesercenti: “La deregulation avrebbe dovuto dare una spinta ai consumi, ma non sembra essersi trasformata in acquisti reali. Nel 2017 le vendite del commercio al dettaglio sono state inferiori di oltre 5 miliardi di euro e ancora sotto i livelli del 2011, ultimo anno prima della liberalizzazione. La deregulation ha spostato quote di mercato verso la Gdo, contribuendo all’aumento dell’erosione del fatturato della maggior parte dei piccoli esercizi, che hanno perso il 3% a favore della distribuzione moderna, la quale ha beneficiato di un travaso di circa 7 miliardi di euro”.