Se, da venerdì 1° gennaio, molte cose cambieranno nei rapporti fra la Gran Bretagna e l’Unione europea, in primis negli spostamenti – ci vorrà il passaporto – e nelle permanenze superiori a tre mesi - serviranno appositi visti –, la Brexit non sarà un vero ostacolo per gli scambi commerciali, tutelati da un accordo di libero scambio di ben 2.000 pagine andato in porto, sul filo di lana, la sera della Vigilia di Natale, nell’interesse di tutti, compresi i sudditi di Sua Maestà.

Per l’Italia questo significa la messa in sicurezza di 25 miliardi di export e di un attivo commerciale di 13,4 miliardi, visto che il Regno Unito è, dopo la Germania, la Francia, gli Stati Uniti e la Svizzera, uno dei nostri principali mercati di sbocco. Secondo l’osservatorio governativo Infomercatiesteri, i flussi in ingresso del 2019 – quelli del 2020, pure consistenti, non sono molto rappresentativi considerate le sfasature dovute al Covid – erano composti, nell’ordine, da macchinari e apparecchiature (3,13 miliardi di euro), autoveicoli e rimorchi (2,74) e prodotti alimentari (2,13). Se a questi ultimi si aggiungono le bevande (poco più di 1 miliardo) i beni di consumo, in senso stretto, sono i vincitori con 4,14 miliardi di euro, ovvero un sesto del totale. Ma non è tutto: l’abbigliamento made in Italy, compreso quello in pelle e pelliccia, valeva, sul mercato Uk, 1,92 miliardi, la pelletteria 1,21, i farmaci 1,63 e i prodotti chimici 1,35.

Dall’altro lato gli inglesi, sempre lo scorso anno, sono stati esportatori verso l’Italia per 10,65 miliardi di euro. In testa, con 1,85 miliardi di euro i veicoli e rimorchi, i macchinari, 1,10 miliardi e la chimica, 1,03 miliardi.

Una Brexit no deal sarebbe stata dunque, per il nostro sistema del largo consumo, un vero gioco al massacro.

In estrema sintesi l’accordo di libero scambio prevede, ovviamente, che non siano applicati dazi, anche se non bisogna dimenticare che, dal giorno di Capodanno, il Regno Unito sarà comunque fuori dal mercato unico e dunque alcune procedure si faranno più complesse. Per questo il Parlamento Europeo, che si è preso un po’ più di tempo (pare il mese di gennaio) per la messa a punto della piattaforma commerciale, ha permesso l’entrata in vigore immediata e transitoria del nuovo protocollo, onde evitare il panico alle frontiere.

Moltissimi, naturalmente, i commenti, a partire da quello di Confagricoltura. Ha spiegato, Massimiliano Giansanti, presidente della confederazione: “Il fallimento delle trattative, con il ritorno dei dazi doganali e delle quote, avrebbe destabilizzato l’importantissimo interscambio agroalimentare bilaterale. Da primo gennaio prossimo, esportare sul mercato britannico sarà comunque più arduo sotto il profilo documentale e dei controlli. Di conseguenza, aumenteranno i costi. Tutte le esportazioni dovranno essere accompagnate da una dichiarazione doganale. Per i vini, spumanti e liquori provenienti dalla Ue (780 milioni di euro dall’Italia) scatterà dal 1° luglio 2021 l’introduzione di certificati di importazione, i quali prevedono anche lo svolgimento di un test di laboratorio”.

Inoltre – ha continuato Giansanti -, è da mettere in preventivo un aumento della concorrenza ai nostri prodotti per gli accordi commerciali bilaterali che il Regno Unito, a seguito del recesso dalla Ue, sottoscriverà con i Paesi terzi. “Un’intesa è già stata perfezionata con il Canada e le trattative sono in corso con gli Stati Uniti. Dobbiamo perciò rafforzare le iniziative promozionali a favore dei nostri prodotti sul mercato del Regno Unito – conclude - e trovare nuovi canali di sbocco per il made in Italy agroalimentare. Chiediamo al nostro governo di avviare rapidamente una riflessione sulle proposte, presentate ieri dalla Commissione Ue, per la ripartizione, fra gli Stati membri, della riserva di 5 miliardi di euro decisa dal Consiglio europeo, allo scopo di limitare l’impatto economico del recesso del Regno Unito”.

Più rassicurante il parere del Ministro delle Politiche agricole, Teresa Bellanova: “Confidiamo che questo accordo sia un buon viatico per il nostro export, in un momento già molto complesso. L'Italia potrà continuare a esportare prodotti agroalimentari senza dazi e senza quote e questo è un risultato importantissimo. È poi assicurata la prosecuzione della massima tutela alle indicazioni geografiche esistenti al 31 dicembre 2020, come previsto dall'accordo di recesso, e ci ripromettiamo di lavorare con i Paesi a noi allineati, affinché un’adeguata protezione sia riconosciuta anche alle future Ig registrate dopo il definitivo abbandono dell’Unione da parte del Regno Unito”.

Interessante, come riporta l’Ansa, anche il punto di vista di Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia. "Alla fine, ha prevalso il buon senso e sono stati superati gli ultimi ostacoli relativi a pesca e ad aiuti di Stato, che non avrebbero certo giustificato un no deal dagli effetti disastrosi per entrambe le parti. Avere evitato dazi medi del 3% che, per alcuni prodotti alimentari avrebbero potuto raggiungere anche il 30%, è una vittoria per tutti. Adesso vanno definiti i dettagli, conseguenti anche all'applicazione del level playing field (parità di condizioni). Dobbiamo però essere certi che il Regno Unito non diventi un punto di ingresso per prodotti italian sounding e non a norma europea, cosa che l'accordo di partenariato vieterebbe, ma, come spesso accade, il diavolo si nasconde nei dettagli".