Una crescita di 15 miliardi di euro nel prossimo triennio per le aziende food che saranno in grado di sposare l’innovazione produttiva e distributiva, ma anche di stabilire rapporti diversi con i clienti finali: queste le principali evidenze dell’Osservatorio Deloitte sul nostro agroalimentare.

L’attenzione al consumatore può determinare un balzo di fatturato del 22-25%, ma la sinergia tra gli operatori favorisce un incremento del 36% mentre la qualità è decisiva, tanto da indurre una variazione prospettica dei ricavi di 40 punti.

“In un momento in cui il settore sta dando prova di forza e vitalità, per le aziende è tempo di cogliere le potenzialità dell’innovazione, anche aumentando l’attenzione nei confronti di un pubblico sempre più consapevole, informato e capace di apprezzare alimenti di profilo elevato e rispettosi dell’ambiente”, riassume Eugenio Puddu, partner Deloitte.

Nella nostra Penisola le aziende attive nel comparto sono circa 8.300, per un fatturato aggregato di 125 miliardi di euro e più di 340.000 addetti.

Nel quinquennio 2012–2016 le vendite finali sono salite del 22%, specie grazie alla capacità di acquisire una maggiore specializzazione. In particolare si sono registrate vere esplosioni per i dietetici (+56%), il tè e caffè (+35%), le conserve (+41%), l’ortofrutta (+30), l’ittico (+29) e il vino e distillati (+28).

“Il nostro è un patrimonio industriale e culturale di primaria grandezza – commenta Paolo Gibello, senior partner Deloitte -. Intorno a questo asset il Paese deve costruire una serie di iniziative che permettano il rafforzamento del comparto e assicurino alle imprese la capacità di migliorare ancora la propria forza competitiva”.

Molto interessante è il capitolo che la ricerca dedica al biologico, una partita che si gioca soprattutto nella distribuzione, visto che l’offerta non manca. Anzi “il Belpaese – scrive Deloitte - vanta la maggiore estensione e la più elevata differenziazione produttiva d’Europa, con oltre 1 milione di ettari e 50.000 addetti. Dal 2000 in poi il bio è sempre stato dinamico e nel 2010-2015 ha registrato un Cagr (tasso di crescita composto annuo) del 12,3%, il secondo del Continente dopo la Turchia”.

Deloitte aggiunge che in questo filone si inseriscono tutt i beni alimentari di fascia alta (compresi vegani e vegetariani) che assecondano la maggiore attenzione per la qualità. Questo insieme, dal 2010 al 2016, ha avuto un incremento cumulato del 21 per cento.

Visto che il principale elemento di sviluppo è proprio l’alto livello dell’offerta è importante sintetizzare le conclusioni del ‘Rapporto Ismea-Qualivita 2017’, che analizza alimentari e vini a denominazione di origine europea.

Il primato mondiale dell’Italia è sempre più evidente, con 818 indicazioni geografiche registrate al 15 gennaio 2018. Il settore esprime i risultati più alti di sempre anche in valore, con una produzione pari a 14,8 miliardi di euro, di cui 8,4 destinati all’export.

I dati testimoniano una crescita del 6% su base annua e un aumento dei consumi del 5,6% nel canale Gdo per i prodotti a peso fisso e dell’1,8% per il vino.
Il trend degli ultimi 10 anni mostra un innalzamento continuo dell’insieme Dop-Igp, che ha così affermato il proprio peso economico fino a rappresentare l'11% della nostra industria alimentare e il 22% dell'export agroalimentare nazionale.

Le analisi territoriali e gli impatti economici per provincia italiana mostrano che le denominazioni di origine sono un volano per tutta la nazione. Per quanto l'impatto risulti concentrato geograficamente nel Nord-Est - dalla ‘food valley’ emiliana al sistema del Prosecco veneto-friulano - non sono pochi i territori che hanno beneficiato della forte crescita delle filiere locali. Sono produzioni più piccole, ma che, esprimendo al massimo il proprio potenziale, riescono a trainare l’agroalimentare da Nord a Sud.

Scarica il 'Rapporto Ismea-Qualivita 2017'