di Luca Salomone

Gli incrementi della bolletta energetica e, per conseguenza, dell’inflazione, innescano un vero effetto domino. Lo conferma il rapporto ‘Fragilitalia’, divulgato il 23 settembre ed elaborato dall’area studi di Legacoop e Ipsos sulla base di un sondaggio condotto su un campione rappresentativo della popolazione.

I rincari - l’indice Istat dei prezzi al consumo si attestava ad agosto all’8,4% su base annua - stanno costringendo più di 6 italiani su 10 a ridurre i consumi di energia elettrica, il 57% quelli relativi allo shopping, il 56% la domanda di gas e il 54% le spese per attività culturali e di svago. Una tendenza, come vedremo, destinata a proseguire, e in alcuni casi ad accentuarsi.

Impatto vasto e asimmetrico

Ovviamente la dinamica inflativa è una “tassa” che impatta in modo più pesante sui più deboli. Nel ceto popolare la riduzione del consumo di energia elettrica interessa il 72% dei nostri connazionali (63% il dato medio), la contrazione dello shopping il 73% (dato medio 57%), l’abbattimento del consumo di gas il 69% (56% dato medio), mentre il 70% ha messo in cura dimagrante le attività culturali (54% la media).

La tendenza attuale, come già accennato sopra, è destinata a peggiorare. Le voci che occupano le prime quattro posizioni nella classifica delle riduzioni di spesa previste nell’immediato futuro (87% per i consumi di energia elettrica e di gas, 84% per le cene fuori, 83% per i viaggi, 82% per lo shopping e i divertimenti), sono seguite dal ridimensionamento cui verranno sottoposti i prodotti di elettronica (78%), gli articoli di bellezza, le scarpe e la cultura (tutti e tre al 76%), la benzina e il gasolio (75 per cento).

Relativamente al carrello alimentare, i salumi e la carne guidano la classifica dei tagli, con una propensione di rinuncia/riduzione del 67%, seguiti dal pesce (64%), dai formaggi (62%), dai surgelati (58%).

«Il protrarsi dell’aumento dei costi e dei prezzi ci ha condotto sull’orlo di una nuova crisi, evidente in questi dati – commenta Mauro Lusetti, presidente di Legacoop –. Questa crisi è già sociale, e lo vediamo dall’asimmetria con cui l’impatto degli aumenti colpisce i bilanci delle famiglie; i ceti più esposti stanno già tirando la cinghia, le preoccupazioni e l’angoscia già tolgono loro il sonno. Ma è alla porta anche una ricaduta, di vaste proporzioni, su cultura, svaghi, viaggi, acquisti non alimentari, tutto ciò su cui, in sostanza, si era basata la ripresa che, l’anno scorso, ci ha condotto, economicamente, fuori dalla pandemia. Il calo dei consumi e la gelata della fiducia dei cittadini anticipano un contraccolpo sul sistema produttivo. Le previsioni dei mesi scorsi si sono via via aggiornate sugli scenari più negativi».

Strategie ai fornelli

Il Report si concentra anche sulle nuove strategie di risparmio delle famiglie, sulle modalità di cucinare, sui canali di vendita utilizzati per gli acquisti alimentari e sulla shrinkflation, ovvero la pratica, messa in atto da alcune aziende, di ridurre la quantità di prodotto contenuto in una confezione per mantenerne fermo il prezzo

Per quanto riguarda gli acquisti, il 58% degli intervistati dichiara di avere tagliato molti prodotti superflui (il 68% tra gli over 65), il 55% di comprare soprattutto articoli in promozione (63% nel ceto popolare; 60% nelle donne), il 53% di limitare gli sprechi di cibo, il 42% di fare maggiori scorte di prodotti promozionati, il 38% di cercare i beni più convenienti, anche se non abitualmente consumati (50% nel ceto popolare).

E l’aumento dell’energia induce anche cambiamenti nelle abitudini più consolidate di chi cucina. Il 47% ha già ridotto l’utilizzo del forno (54% nel ceto popolare), il 31% ha invece aumentato il consumo di alimenti che richiedono cotture veloci (36% nel ceto popolare), il 29% di aver intensificato l’acquisto di alimenti che non richiedono cottura, il 24% di cucinare grandi quantitativi di cibo che vengono, poi, surgelati in porzioni.

Riguardo ai canali di vendita del food, i risultati del sondaggio evidenziano un aumento medio della frequenza di acquisto del 27% nei discount (47% al Sud, 48% nel ceto popolare) e dell’1% nei mercati rionali o centrali.

In diminuzione, invece, le presenze in altri canali: del 26% nei negozi al dettaglio (46% nel ceto popolare), del 21% nei piccoli supermercati (ceto popolare 37%), del 12% nei supermercati e dell’11% negli ipermercati (38% nel ceto popolare).

Infine, è netto il giudizio negativo (espresso da 7 italiani su 10), sulla shrinkflation. Quattro italiani su dieci (il 43%) la considerano una truffa, 3 su dieci (il 32%) una presa in giro dei consumatori, ai quali non viene comunicata in modo trasparente quella che è, invece, una subdola forma di aumento.