Prosegue nel 2016 la crescita del franchising, una crescita non impetuosa, ma costante negli ultimi due anni: il primo semestre del 2016 fa segnare un aumento del fatturato dello 0,5% rispetto allo stesso periodo del 2015. I settori trainanti sono l’abbigliamento, che registra un +2,3% in valore e il food, con il +2 per cento.

Queste le cifre diffuse, alla vigilia del 31° Salone Franchising Milano, organizzato da Rds e Fiera Milano, che si terrà dal 3 al 5 novembre presso il polo di Fieramilanocity (la vecchia fiera, per capirci).

Il giro d’affari dell’affiliazione nel 2015 ha raggiunto complessivamente i 23 miliardi di euro, grazie a 950 aziende franchisor e 51.000 negozi, dando lavoro a 188.000 persone. Le merceologie più ricercate dai potenziali affiliati, nel 2016, sono abbigliamento (25%, con un aumento del 9% già nel primo semestre 2016), food (28,3,%), servizi ai privati, cioè i servizi a domicilio, o in negozio, per la cura della persona (11,7%), commercio specializzato (12,5%), articoli per la persona (14%), servizi per le imprese (2,5%), prodotti per la casa (3,5). In salita, sempre sullo scorso anno, le donne imprenditrici, +5,5%, e i giovani under 35, +10 per cento.

“Cresce l’abbigliamento specializzato, come intimo, camicerie, calze – commenta Antonio Fossati, presidente del Salone - e il food, altrettanto specializzato, come dimostra la diffusione di negozi per celiaci e vegetariani, i ristoranti a tema, le friggitorie e le pizzerie”.

Oltre ai grandi brand del franchising stanno aumentando anche i franchisor che riscoprono i vecchi mestieri (sartoria, macelleria, pasticceria) e li ripropongono al grande pubblico. “Altra novità interessante è il social franchising – aggiunge Fossati - cioè l’applicazione del modello del franchising a servizi di utilità sociale come centri per disabili, tossicodipendenti, anziani. Una visione supportata anche dalla Comunità Europea. Il franchising si conferma dunque come settore sempre innovativo, utile alle aziende e naturalmente a chi vuole diventare imprenditore di sé stesso”.

La vivacità del franchising italiano ha attirato, addirittura, l’attenzione degli investitori cinesi e, visto che in Cina il franchising è una realtà molto sviluppata, due grandi gruppi, Bambù Capital HK e Sunshine 100 China Holdings – Beijing, presenteranno, durante il Salone di Milano, il progetto “Tuscany Village”, per inserire franchisor italiani in 50 centri commerciali della Repubblica Popolare.

Molto interessanti anche i dati di una ricerca di Ernst Young “Italian style, i modelli vincenti nel food fashion & design”, presentata da Confimprese lo scorso 13 settembre, in occasione del ‘Retail Summit’ di Cernobbio (Como).

Secondo EY una delle ricette per sostenere la nostra crescita e l’occupazione passa proprio dal retail, che crescerà annualmente del 2,3% fino al 2020.
Nella top 5 dei settori si aggiudica la pole position il food retail con il 31,3% di variazione positiva, seguito a distanza dalla moda-abbigliamento (7,2%) e dall’intimo (6,35).

«Il franchising – commenta Mario Resca, presidente di Confimprese – si conferma volano per l’occupazione, soprattutto giovanile: il 26% dei franchisee ha un’età compresa tra 25 e 35 anni e il 61% fra 36 e 45. Le imprese nostre associate apriranno 1.920 negozi entro la fine del 2016 con quasi 10.000 nuovi posti di lavoro, in crescita del 18% sul 2015.

“Nel fashion e food – continua Resca - si ritaglia un posto importante il franchising street food. I due settori si confermano tra i più vitali, rispettivamente con 873 e 320 nuovi locali sul territorio nazionale. Bene il Triveneto con 50 nuove aperture e la Lombardia con un aumento delle inaugurazioni del 20%. Nel 2017 le nostre stime prevedono di replicare i numeri del 2016, che sono di per sé già un risultato eccellente, in un panorama di sostanziale immobilità».

Lievitano anche, come già detto, le ‘quote rosa’, non solo all’interno dei punti vendita, ma anche nel mondo imprenditoriale. «In base al Rapporto Confimprese 2016 sulle donne, i franchisor che dichiarano di avere in prevalenza affiliati di sesso femminile sono passati dal 27,2 del 2008 al 33,3% del 2015».

Uno sguardo sull’internazionalizzazione delle aziende retail, infine, sottolinea che i nostri prodotti sono sempre più amati e cercati. «Se il made in Italy fosse un marchio sarebbe il terzo più noto al mondo – afferma Resca –. Esportarlo significa sostenere la forza del brand e farlo conoscere ai consumatori stranieri, affamati di prodotti italiani, dal fashion al food agli accessori. Alle nostre imprese va il compito di educare e spingere il consumatore verso i marchi nostani. Nel 2016 apriremo 465 punti vendita fuori dai confini italiani, in crescita del 35% sul 2015, con oltre 1.100 persone assunte. Tra i settori più vivaci ancora una volta proprio l’abbigliamento e il cibo».