Nel 2016 i consumatori dei 9 principali mercati dell'Europa occidentale (Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna, Belgio, Paesi Bassi, Austria e Portogallo) hanno speso 4,3 miliardi di euro in più per l’acquisto di prodotti di largo consumo nella distribuzione moderna, con un incremento dello 0,9% rispetto al 2015. Il 61% della variazione positiva del food, come emerge dal rapporto ‘Strategic Planner’ di Nielsen, è da ricondurre a freschi, dolci e snack.

"Il dato più rilevante – spiega Romolo de Camillis, retailers director di Nielsen Italia - è senza dubbio il fatto che l’impennata di fatturato è dovuta principalmente all'incremento dei volumi, il che attesta il superamento del periodo di crisi e l'imbocco di un percorso non privo di incertezze, ma orientato ormai alla ripresa. “Questa fase – continua de Camillis - è confermata anche in Italia, dove la ripresa dei consumi si può interpretare alla luce di un buon andamento dell'indice di fiducia delle famiglie. Altro dato interessante è l’aumento dei freschi confezionati, avvenuta spesso a discapito del fresco sfuso, che rappresenta, in ogni caso, un elemento strategico per i retailer, sia in termini di attrazione della clientela sia d'immagine. Se ci si sofferma, tuttavia, sulle bevande alcoliche, si scopre che gli aumenti sono da attribuire soprattutto al rialzo dei prezzi".

I cibi freschi, considerando tutte le 9 nazioni, determinano il 38% della crescita complessiva (1,6 miliardi di euro), il comparto dolci/snack il 23% (1 miliardo di euro) e gli alcolici il 20% (849.000 euro). Queste tre categorie, una volta sommate, motivano da sole l'80% della rimonta. In media, le sub-categorie che hanno contribuito maggiormente sono state la birra, la frutta, i piatti pronti freschi, le verdure e l'acqua minerale. In Italia, invece, la crescita è trainata soprattutto da salumi confezionati, cioccolato, ancora piatti pronti freschi e sostitutivi del pane.

Ulteriori novità riguardano le performance di marche e insegne. I 10 maggiori player dell'industria hanno subito un calo di 430 milioni di euro in termini di spesa dei clienti finali, mentre il 70% della crescita generale è andata a beneficio delle Pmi. I prodotti a marca del distributore, inoltre, hanno totalizzato il restante 30% di incremento.

I marchi fuori dalla ‘top ten’ hanno ora una quota del 46,6%, seguita dalla Mdd (36%), mentre i 10 grandi devono ‘accontentarsi’ di un 17,4 per cento.
La metà del valore della crescita totale (2,2 miliardi di euro) è da attribuirsi ai beni in promozione, il che dimostra che, anche nel 2016, la Gdo ha spinto ancora molto sulla politica degli sconti.

A ribadire il clima di ripresa sono, per l’Italia, i recenti dati di Federalimentare, che fotografano il cambiamento. Il food & beverage nell’ultimo bimestre del 2016, dopo un anno di sostanziale stagnazione ha dato spunti molto interessanti. “L’alimentare, che su gennaio-ottobre navigava ancora su un +0,3% rispetto allo stesso periodo 2015, ha totalizzato, in chiusura, un +1,1%, che è il migliore incremento dal 2010 – ha spiegato il presidente della Federazione, Luigi Scordamaglia -. È una netta inversione di tendenza, dopo il deludente -0,6% con cui si era chiuso il 2015”. Insomma una velocità d’uscita interessante per il 2017, “anno che dovrebbe segnare per la prima volta variazioni positive per tutti e tre i grandi parametri congiunturali, non solo produzione ed export, ma anche vendite interne”.

“Il fatturato 2017, dopo quattro anni di stagnazione, a quota 132 miliardi (fenomeno senza precedenti sull’arco dell’intero dopoguerra), dovrebbe finalmente ripartire per raggiungere i 135 miliardi – continua Scordamaglia -. Tale incremento sarà frutto di un aumento prossimo all’1% della produzione e da un’accelerazione dei prezzi alla produzione attorno all’1% in media annua. L’export, in assenza di forti turbative internazionali, dovrebbe accelerare leggermente il trend 2016, per posizionarsi su un +5: sempre più vicino, quindi, l'obiettivo dei 50 miliardi di vendite estere che ci siamo dati per il 2020".

Dal canto suo il presidente di Federdistribuzione, Giovanni Cobolli Gigli, commentando i dati Istat relativi all’inflazione del mese di marzo, ha ammonito che “è di grande rilevanza che non intervengano elementi che possano frenare la fiducia dei consumatori e il fragile percorso di uscita dalla crisi ora in atto. In questo senso occorre fare di tutto per evitare in prospettiva l’applicazione delle clausole di salvaguardia e i conseguenti aumenti delle aliquote Iva, che porterebbero, nel complesso, a un innalzamento dei prezzi di circa il 2% e a una riduzione dei consumi dell’1,8 per cento”.