L’export ci salverà? Non sembra proprio, o, comunque e ovviamente non subito, visto che non sarà in grado di compensare, a breve, un calo del Pil che, secondo l’Istat si è concretizzato, nel secondo trimestre, in una perdita del 12,4% su gennaio-marzo e in un -17,3% tendenziale, mentre la variazione stimata per il 2020 è negativa di 14,3 punti.

Nel 2019 le vendite italiane oltre confine hanno registrato una crescita del 2,3% e la bilancia commerciale un saldo positivo di 53 miliardi di euro. Ma nel 2020 i flussi in uscita subiranno una brusca frenata, per chiudere l’anno con una flessione del 12% a prezzi costanti.

Diversa la situazione del 2021 (+7,4%) e del 2022 (+5,2%) anche se, trattandosi di variazioni anno su anno, il ritrovato benessere sarà un semplice recupero della caduta e non un vero rilancio oltre i livelli dello scorso anno.

Le cifre emergono dalla 34ema edizione del Rapporto realizzato da Agenzia Ice in collaborazione con Prometeia, Istat, Fondazione Masi, Università Bocconi e Politecnico di Milano.

“I dati consuntivi confermano che, nel 2019, l’export italiano godeva di un ottimo stato di salute. Aveva terminato l’anno con una crescita del 2,3%, attestandosi a 476 miliardi di euro e mantenendo la quota di mercato sul commercio mondiale stabile, al 2,84 per cento – spiega Carlo Ferro, presidente Ice -. È stato un risultato importante perché ottenuto in un periodo turbolento sui mercati mondiali, particolarmente per i Paesi europei, stretti nella disputa commerciale Usa-Cina, pressati dai dazi americani e confusi dalla Brexit”.

Lo scorso anno le maggiori crescite hanno riguardato la farmaceutica (+25,6%), le bevande (+6,8%), la moda (+ 6,2%) e la metallurgia (+5,3%). Al contrario non è andata bene per la meccanica (-0,5%), anche se il settore ha continuato a contribuire, con oltre 50 miliardi di euro, alla formazione dell’avanzo commerciale, superando l’ammontare della nostra mostruosa bolletta energetica (-42 miliardi di euro).

Per area geografica uno dei nostri partner più promettenti del 2019 è stato il Giappone (+19,7%) anche grazie all’accordo di libero scambio con l’Unione Europea, in vigore da febbraio dello scorso anno, seguito dalla Svizzera (+16,6%), hub di smistamento internazionale. Anche verso gli Stati Uniti, nonostante tutto, le vendite sono salite (+7,5%), visto che i dazi non hanno investito tutte le merceologie. Nel 2021 l’asse dovrebbe però spostarsi sull’aggregato delle nazioni asiatiche emergenti, Cina in testa.

Fra le Regioni italiane l’aumento di scambi internazionali più significativo ha riguardato la Toscana (+15,6%) e il Lazio (+15,3%). Bene anche il Molise (+11,7%), la Puglia (+9,1%) e la Campania (+8,1%). Tuttavia, a prescindere dalle variazioni, le aree più forti sono rimaste quelle di sempre: Lombardia (27%), Emilia-Romagna (14,1%) e Veneto (13,7%). Sull’altro versante i nostri acquirenti principali sono tuttora, nell’ordine, Germania, Francia e Usa.

E l’anno in corso? “I primi due mesi sono stati positivi con un +4,7% tendenziale, nonostante a febbraio fosse già evidente il rallentamento dei flussi con la Cina – commenta Ferro -. Istat ha recentemente pubblicato le rilevazioni del periodo gennaio–maggio 2020, le quali vedono l’export in caduta tendenziale del 16%, sintomo della pandemia globale. Ma l’andamento congiunturale segna una crescita del 35% da aprile a maggio. È una prima indicazione di ripresa”.

Sempre per aprile Ice stimava, su dati Prometeia, una flessione dell’export italiano di beni - a prezzi costanti e nell’ipotesi di stabilità della quota di mercato per Paese di destinazione - nell’ordine del 12% quest’anno, come già detto, per poi crescere del 7,4% nel 2021 e del 5,2% nel 2022, anno su anno.

In questo quadro le vendite internazionali del nostro Paese torneranno ai livelli del 2019 solo nel 2022. Il Covid-19 ha fatto perdere, in sostanza, un triennio secco al percorso favorevole del made in Italy.

L’export di domani va debitamente orientato. Secondo Ferro “digitale, innovazione e sostenibilità saranno le parole chiave per rivolgersi alle nuove generazioni di consumatori globali. Per rafforzare il posizionamento strategico dell’Italia è quanto mai importante l’azione di supporto del Sistema Paese. In particolare, verso le Pmi che rappresentano oltre il 90% delle imprese nazionali e generano oltre il 50% dell’export, ma sono anche, per taglia, le più vulnerabili e, per assetto organizzativo, le meno preparate all’innovazione digitale dei processi”, un’innovazione che diventerà fondamentale nel rapporto con nazioni asiatiche altamente informatizzate e molto aperte al commercio elettronico.

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