La pandemia, come si sa, ha avuto molteplici conseguenze sul commercio, ma, dal punto di vista immobiliare, i riflessi sono stati particolarmente critici. Lo conferma la prima edizione del rapporto firmato da Real estate data hub, centro studio nato dalla collaborazione tra la filiale italiana del colosso americano Re/Max (settore immobiliare) e Avalon real estate.

L’analisi è particolarmente dettagliata e profonda, visto che prende in esame, in 96 pagine e in vari capitoli, anche i segmenti del residenziale, della logistica, del direzionale e uffici.

Per il solo retail e per le città di maggiore rilievo, Milano e Roma, si registra, nell’ultimo anno, un’evidente contrazione del mercato in termini di volumi.

Nello specifico la capitale lombarda ha vissuto una caduta in tutte le zone urbane, con accentuazioni molto forti nelle aree centrali che, a seconda dei quartieri, hanno perso fra il 50 e il 90 per cento, avvicinandosi così alla paralisi delle transazioni.

Per quanto riguarda i valori, Data Hub evidenzia per il cluster, nazionale, dei centri commerciali un’erosione del dato medio al mq, che, pur essendo già in atto dal 2016, ha vissuto un progressivo ampliamento a partire dal 2019.

La motivazione, però, non concerne la riduzione valoriale degli asset e nemmeno l’effetto Covid, ma la tipologia degli ‘oggetti’ transati.

Se fino a due anni fa venivano acquistati prodotti con alti livelli di occupazione e/o con previsioni di interventi di restauro, successivamente si è osservata una tendenza a investimenti di tipo opportunistico, riferiti a complessi da riqualificare, o riposizionare, a volte riconducibili a pacchetti immobiliari in fase di dismissione o appesantiti da crediti deteriorati.

Così, mentre gli shopping center di maggiore pregio si sono mantenuti intorno a una resa media di circa 2.600 euro al mq (nel triennio 2016-2018), quelli suscettibili di speculazione sono crollati dai 1.395 euro al metro del 2019 ai 994 del 2020, in piccola parte per l’effetto Covid, ma soprattutto per la ricerca di opportunità sempre più lucrose in prospettiva.

Gli insediamenti retail di tipo prime e regionali, che sono, come detto, una asset class ancora piuttosto stabile, anche dal punto di vista degli affitti, potrebbero vivere, a causa della situazione di instabilità, in palese contrasto con valori ancora elevati, una situazione di immobilismo, a causa di patrimoni che sarebbe molto problematico rendere liquidi, nel contesto attuale.

Dall’altro lato ci sono i centri commerciali secondari - o per location o per bacino di utenza -, che hanno varie potenzialità, ma necessitano di investimenti. Per questi il flusso di ricavi basso, dovuto alla perdita di occupancy e alla difficoltà di mantenere gli attuali tenant, porta a una contrazione a doppia cifra dei valori e a scarsi rendimenti attesi, ma con notevoli differenze da caso a caso.

Data Hub ha condotto anche un’analisi su un campione di oltre 20 asset tra Gdo e centri commerciali, per un totale di circa 726 unità, che evidenzia una diffusa richiesta di rinegoziazione dei canoni locativi.

Tale esigenza però non concerne la Dmo, alimentare, che si mantiene dinamica e nemmeno i trattanti di prodotti per la casa, la salute, il fitness e l’elettronica, agevolati da basse, o nulle, restrizioni durante i vari lockdown. Nemmeno l’e-commerce, per quanto dilagante, ha impedito a tali operatori di mantenere buone performance.

E il futuro? Il futuro, secondo Data Hub, è in complessi commerciali capaci di coniugare una buona esperienza di acquisto con un assortimento abbastanza completo e orientati a bacini di vicinato. Il telelavoro, infatti, non facilita certo gli acquisti nelle zone centrali e lontane da casa.

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