Che futuro ci si può attendere per l’ecommerce in Italia? A giudicare dallo sbarco di Amazon, avvenuto solo pochi giorni fa, si direbbe molto, molto positivo. Nel nostro paese gli acquisti online rappresentano ancora una quota assai marginale sul totale delle vendite retail: poco più dell'1%. Una percentuale che ci separa in modo abissale da quella che si registra negli Stati Uniti, ma lontana anche dalle percentuali di paesi come il Regno Unito (10%), la Germania (7%) o la Francia (5%).

Differenze che - secondo il responsabile dell’Osservatorio Business to Consumer di Netcomm, Alessandro Perego - dipendono dal fatto che alcuni ambiti merceologici come il grocery, i prodotti per la casa, l'arredamento, il fai da te, sono scarsamente presenti o del tutto assenti negli ecommerce italiani. Le cose, però, stanno rapidamente cambiando. Secondo gli ultimi dati presentati dalla School of Management del Politecnico di Milano, si prevede che il settore chiuda il 2010 con un fatturato di circa 6,5 miliardi di euro, in crescita del 14% sull’anno precedente. Un trend superiore a quello messo a segno registrato in altri paesi come la Germania (+12%), e gli Stati Uniti (+8%).
 Di più. Una elaborazione della Camera di Commercio di Milano indica che le imprese attive in Italia sono aumentate del 25% negli ultimi dodici mesi.

Certo, il settore principe resta quello del turismo, il cui business è sempre più legato alle vendite online (52% sul totale). Ma cresce l’incidenza dell'informatica e dell'elettronica di consumo (la cui quota raggiunge ormai il 10%), l'abbigliamento (7%), il settore dell'editoria, della musica e degli audiovisivi (3%), e persino del grocery (1%, merito soprattutto di Esselunga). Basta dare un’occhiata ai trend di crescita di alcune categorie merceologiche per rendersi conto che il fenomeno non si può più ignorare e che le catene distributive, volenti o nolenti, ci dovranno fare i conti. Gli acquisti online di capi di abbigliamento sono aumentati negli ultimi dodici mesi del 43%, del 19% gli alimentari, dell’11% i prodotti di tecnologia.

Insomma, un vero e proprio boom che ha finalmente indotto Amazon a rompere gli indugi per fare il proprio ingresso, con un sito in italiano, nell’unico paese industrializzato nel quale non era presente. Le premesse per fare bene come altrove ci sono tutte. A cominciare dall’ampia scelta di prodotti, che spazia, oltre ai libri, alla musica, ai dvd, al software, ai prodotti informatici e di elettronica di consumo, fino ai piccoli elettrodomestici, ai giocattoli e agli orologi. I prezzi competitivi, in secondo luogo. E consegne rapide. In Italia Amazon propone a 10 euro soltanto l’abbonamento annuale per ricevere la merce senza spese di spedizione nel giro di due o tre giorni (a cura di Ups e Sda).

Secondo gli esperti, l’ingresso della più grande azienda di acquisti in rete (121 milioni di clienti al mondo) nel nostro paese con un sito in lingua italiana evidenzia un duplice segnale. Il primo è che le vendite online sono giunte a un punto di maturità tale da spingere un’azienda pragmatica come Amazon a investire nel nostro paese in tecnologia, strutture e comunicazione. La seconda riguarda l’impulso che questa presenza imprimerà alla vendita online di prodotto, ancora oggi minoritaria rispetto a quella di servizi, secondo un rapporto di uno a tre.