L’andirivieni di trattori lungo le strade che percorrono la Val Venosta con casse di mele al traino indica che la raccolta della frutta si trova al culmine. Il blu del cielo oltre la splendida cornice alpina con qualche vetta già innevata contrasta con il verde intenso dei meleti stesi a perdita d’occhio lungo la valle. E tra i filari, puntinati di giallo o rosso a seconda della varietà scelta dai coltivatori, è un pullulare di uomini e donne al lavoro in guanti bianchi. Precauzione eccessiva? Assolutamente no, perché la presa della mano, non protetta dal soffice tessuto, potrebbe lasciare traccia sulla superficie della mela, come talvolta dimostrano le piccole depressioni circolari, scure, impresse sulla buccia proprio dalla punta delle dita di una mano nuda.

E di questi difetti, i 1.780 coltivatori raccolti nelle sette cooperative, a loro volta riunite nel Consorzio Vi.P. che cura promozione e commercializzazione delle mele della Val Venosta, non ne vogliono sapere. Meglio non mettere a repentaglio la qualità ottenuta grazie non solo all’impegno delle tante famiglie che lavorano nella valle, che va da Merano (Bz) alle vette estreme del gruppo Ortles, ma anche grazie alla generosità di una natura con la quale bisogna saper convivere. Sì, convivere, perché per quanto nella valle il sole splenda mediamente per 300 giorni all’anno, il freddo pungente limita il periodo vegetativo complicando il lavoro e rendendo tuttavia più “croccante” il frutto tipico della Val Venosta, “la mela sopra le altre”, come dice l’indovinato slogan coniato dal Consorzio.

Anche la scarsa pioggia determina un vantaggio perché le precipitazioni atmosferiche limitate riducono i pericoli dovuti all’umidità e di conseguenza la necessità di usare pesticidi. Ciò fa sì che il 94% delle mele del Consorzio siano coltivate con i metodi di quella che viene chiamata “agricoltura integrata”, mentre il 6% deriva da “agricoltura biologica” in continua crescita.

Poca scarsa equivale pure a pochi funghi, ma pazienza, qui la vocazione resta la mela, dalla Golden (che vale il 65% della produzione), alla Stark (14,8%), Gala (8,1%), Jonagold (3,3%), Pinova (2,4%) e altre ancora (6,2%) per un totale di circa 350mila tonnellate e un fatturato di 210milioni di euro. Ogni coltivatore aderente al Consorzio tramite la propria cooperativa possiede mediamente 2,9 ettari di terreno con appezzamenti che si spingono fino a 1.100 metri di quota, il limite naturale per la coltivazione della mela, la cui colorazione e compattezza della polpa sono favorite dal microclima distinto da una forte escursione termica tra il giorno e la notte per via dell’aria frizzante dei ghiacciai.

La centralizzazione delle attività commerciali e di marketing nel Consorzio permettono ai coltivatori di dedicare le loro energie alla cura della qualità in risposta alla domanda del mercato soggetta a variazioni e a preferenze alle quali non è possibile rispondere con immediatezza in quanto la vita media di una pianta, e l’ammortamento dei costi, seguono un ciclo di circa 20 anni. Ogni ettaro produce da 40 a 60 tonnellate di mele a seconda della varietà e un ricavato di circa 22mila euro nelle buone annate. Ricavato che nelle annate negative può però scendere anche del 50%, com’è accaduto tre anni fa. Proprio per contenere danni di questo genere è importante il ruolo della struttura centrale Vi.P che cerca di orientare la produzione in virtù della domanda, suggerendo ai coltivatori su quali varietà insistere.

Antonio Massa