di Luca Salomone

Un altro anno positivo per l’export agroalimentare italiano, sebbene meno vivace del 2021 e 2022, i primi successivi alla pandemia. Secondo la nuova ricerca di Ismea le vendite oltre confine oltrepassano i 64 miliardi di euro, in crescita tendenziale, a valore, del 5,7%, e dunque compensando, tutto sommato, l’inflazione.

Un po' più limitata la progressione dell’import: +5,4%, cioè da 61,7 a circa 65 miliardi di euro, il che ha portato a un lieve miglioramento del saldo della bilancia commerciale dell’agrifood, il cui disavanzo si attesta a 889 milioni di euro, riducendo il passivo di 126 milioni.

Destinazione Europa....e Usa

Il principale mercato di destinazione del made in Italy alimentare è sempre l'Ue che, con 41,9 miliardi di euro nel 2023, assorbe circa il 65 per cento. Germania, Francia e, per la zona extra europea, Stati Uniti, sono in testa fra i compratori, ma le prime due nazioni fanno segnare maggiori variazioni positive.

Nella top 20 dei nostri importatori risultano in controtendenza solo Canada e Repubblica Ceca, che tuttavia hanno un ruolo marginale, rappresentando congiuntamente appena il 3,2% dei flussi.

Si conferma anche la concentrazione geografica delle nostre esportazioni, con i primi cinque Paesi (Regno Unito e Spagna, in aggiunta a quelli già menzionati) che condensano quasi la metà delle vendite.

L'intera area europea, Ue e non Ue, a sua volta assorbe prodotti agroalimentari per un valore di 46 miliardi, con una quota del 71 per cento.

Merceologie top e import

All’inverso i primi esportatori verso il Bel Paese, sono Germania, Francia, Spagna e Paesi Bassi, mentre, fra i Paesi terzi, si qualifica primo il Brasile, anche se gli acquisti dalla nazione sudamericana si sono ridotti di 5 punti sul 2022.

Per prodotto l’export aumenta su tutta la linea, con l'unica eccezione dei vini in bottiglia che, dopo il buon risultato del 2022, hanno visto ridurre il valore delle spedizioni a 5,1 miliardi di euro (-2,7%), nonostante gli spumanti si siano distinti per crescita (+3,3% in valore).

Il vino rimane, comunque, saldamente al primo posto con un peso sul totale del 7,9 per cento. Altre merceologie top sono i derivati dei cereali, che aumentano dell'8%, trainati soprattutto dai prodotti della panetteria e pasticceria (+12%). Meglio ancora per l’ortofrutta fresca (+9,1%) e trasformata (+10,9%), i formaggi e latticini (+11,6%) e l'olio d'oliva (+14%).

Le importazioni, in maniera coerente con nostro ruolo di nazione trasformatrice, riguardano in larga parte materie prime e semilavorati: caffè non torrefatto, olio, mais, bovini vivi, prosciutti e spalle suine fresche, destinate alla trasformazione, frumento tenero, frumento duro.

In questi casi si segnala la forte crescita di bovini vivi, carni suine e frumento duro. All'opposto, si riducono, in valore, le importazioni di caffè non torrefatto, mais e frumento tenero.

Unione italiana food dice la sua

A tirare un bilancio, per i settori rappresentanti, è anche Unione italiana food. Il 4 aprile, in vista della prima ‘Giornata nazionale del made in Italy’ (15 aprile), evidenzia che l’anno appena trascorso ha confermato il gradimento internazionale per gli alfieri della nostra tavola: l’export dei comparti legati dalla super associazione, ha registrato, nel 2023, una crescita complessiva superiore all’8% a valore, superando i 21 miliardi di euro.

Parliamo di un consumo estero di 3 miliardi di piatti di pasta, di oltre 500 milioni tra coni, coppette e gelati a stecco, di 55 miliardi di tazzine di caffè, di quasi 1 miliardo di chilogrammi di biscotti, fette biscottate, crackers, pandori, panettoni e colombe. E ancora: caramelle, pastiglie e confetti, sufficienti a riempire 24 piscine olimpioniche, 345 mila tonnellate di surgelati e 300 mila tonnellate di integratori.

Per categoria spiccano i brodi, le minestre, salse e sughi (+20,7%), chips e snacks (+22,4%), le confetture e le conserve di frutta (+11,2%), i prodotti da forno (+13,2%), i panificati (+12,7%), i vegetali in aceto, salamoia, olio (+12,6%) e gli integratori alimentari (+10%).

Secondo Paolo Barilla, presidente di Unionfood, «l'eccellenza del made in Italy nel settore alimentare è una preziosa eredità che le nostre aziende stanno già proiettando verso il futuro, con un costante impegno per la sostenibilità e l’innovazione. Le imprese italiane rappresentano da sempre un punto di riferimento nel mondo per il cibo di qualità. Il made in Italy alimentare è un modello unico, dove le Pmi operano in maniera integrata, con medie imprese più strutturate e le grandi imprese competitive sui mercati internazionali. Un esempio virtuoso di radicamento territoriale, fatto soprattutto di realtà familiari, dalla storia anche centenaria, che generano occupazione, ricchezza e valore condiviso».