Edgar Bachmann, svizzero, 44 anni, in Shell da 22, è il nuovo direttore e consigliere delegato Rete Italia della multinazionale petrolifera, numero uno nel mondo per quanto riguarda il network distributivo forte di 43mila stazioni di servizio, 1.200 delle quali nel nostro Paese che permettono il controllo del 6,5% del mercato. DM l’ha incontrato in occasione del compleanno di un prodotto, V-Power, la benzina “differenziata” introdotta in Italia dieci anni fa. Questo ci ha permesso di scambiare con lui, che ha ricoperto la stessa funzione per la Germania e la Svizzera fino al recente trasferimento, alcune impressioni sulla rete distributiva nazionale e la sua evoluzione che potrebbe/dovrebbe seguire le sorti delle grandi superfici del largo consumo.

Il marchio Shell già campeggia in Italia nelle aree di servizio adiacenti a grandi superfici del largo consumo. Pensate di sviluppare questa attività?
Lo pensiamo eccome. Dipendesse soltanto da noi ne apriremmo diverse. So, nonostante sia da poco in Italia, che è in corso un dibattito da molto tempo sulla razionalizzazione della rete distributiva che sconta un erogato medio piuttosto basso se paragonato con l’Europa.

Quanto basso?
La media europea è di 3 milioni di litri di carburanti erogata per ciascuna area di servizio. La media italiana arriva a malapena a 1,8 milioni. Ma ci sarebbe da rivedere anche il contorno all’area di servizio, cioè quello che alcuni chiamano “non oil” e che noi preferiamo definire un vero e proprio shop.

Come lo intende? Che caratteristiche potrebbero avere questi shop?
Qualche esempio esiste già anche in Italia, nonostante si tratti di casi isolati. Penso a quelle piccole superfici di vendita dove, a pochi metri dagli erogatori del carburante, l’utente può trovare una buona gamma di prodotti, da quelli per l’auto a generi alimentari o altro ancora. In Svizzera siamo molto avanti su questa strada che stiamo percorrendo con un partner dopo aver iniziato da soli. Individuato il partner giusto le cose sono cambiate molto; i negozi si sono fatti più grandi, l’assortimento s’è ampliato e il fatturato è schizzato verso l’alto.

Sapere chi è questo partner non sarà un segreto...
Certo che no. Le basterebbe fare un salto in Svizzera per vederlo. Si tratta di Migros.

Diceva che c’è stato un prima e un dopo. Può farci qualche esempio?
Penso agli alimentari freschi. Nei nostri negozi, privi di un’insegna nota nella distribuzione moderna, vendevamo magari un paio di insalate fresche al giorno. Quando è apparsa l’insegna Migros si è passati subito ad almeno dieci, per salire ancora. I primi nostri shop non superavano i 15 metri quadri destinati alla superficie di vendita eppure contenevano un migliaio di prodotti diversi e fatturavano un milione di euro l’anno. Può immaginare il salto da quando abbiamo stretto l’accordo, decennale, con Migros.

Normalmente, nei negozi abbinati alle stazioni di servizio, la maggiorazione di prezzo dei prodotti si considera giustificata dall’offerta di un servizio superiore. Ma questo non frena le vendite?
Diciamo che le contiene, certo. In quei casi il consumatore acquista quando si sente in una situazione quasi di emergenza. Ma dove abbiamo aperto con Migros le cose sono cambiate perché i prezzi si sono allineati a quelli dei normali supermercati della catena. Lì la gente non si muove con il cestello, ma con il carrello. E magari fa la spesa senza effettuare il rifornimento.

E il brusco cambio di percezione da parte del consumatore a che cosa vi ha fatto pensare?
Che egli associa molto, istintivamente, l’insegna alla sua specializzazione. Insomma, se Shell infonde fiducia a proposito di carburanti non si può dire esattamente lo stesso riguardo al largo consumo alimentare. Ma basta gemellarsi con un’insegna affermata in questo campo perché la percezione del consumatore cambi mente.

Le piacerebbe fare qualcosa del genere in Italia?
La risposta è uguale a quella relativa alla prima domanda: sì. Molte stazioni di servizio svizzere allestite in quel modo, per le quali la concezione di servizio si estende, realizzano con il negozio, che ha orari di apertura più ampi di quelli italiani, anche il 50% dei profitti.

Tanti distributori italiani sono considerati obsoleti e molti ritengono che andrebbero chiusi o trasformati, magari nel senso da lei auspicato. Questo vi favorirà?
Per ora solo sulla carta. Come avrete notato anche voi nonostante se ne parli da anni i provvedimenti concreti scarseggiano. Ma la colpa non è tutta o solo delle amministrazioni locali che frenano l’ammodernamento della rete.

Quali altre responsabilità vi sono?
Sembrerà strano ma tante aree di servizio “fuori mercato” non cessano l’attività per questioni ambientali: chiuderle avrebbe un costo molto alto dovuto alla bonifica obbligatoria dei terreni sulle quali sorgono.

Festeggiate i 10 anni della benzina Vpower in Italia, ma i consumatori sono così disponibili a spendere di più per il carburante che ha già un prezzo “normalmente” alto?
L’Italia è stata uno dei primissimi paesi del mondo nel quale abbiamo introdotto la benzina “differenziata” derivata dall’utilizzo in Formula 1 dalla Ferrari, della quali siamo sponsor da 60 anni, ed è stato un successo notevole. Le quantità vendute sono inferiori al carburante standard, ma gli italiani sono un popolo con la passione dell’auto e molti sono appunto disposti a spendere qualcosa di più pur di avere una migliore risposta in accelerazione e un motore più pulito al suo interno, il che lo mantiene nel tempo come nuovo. Certo non è facile comunicarlo, tuttavia i fatti ci hanno dato ragione.

Avete quantificato il segmento dei consumatori disposto a spendere di più per un carburante “differente”?
Possiamo parlare di percentuali. Diciamo che con i prezzi raggiunti dai carburanti il 45% dei consumatori è sensibile alle promozioni e alle raccolte punti, che il 25% basa la sua scelta sul prezzo e che il 30% è sensibile alla qualità. Ebbene è su questa terza fascia che puntiamo per sviluppare V-Power e gli altri carburanti differenziati, come quello per i motori diesel. Aggiungo, per completare il quadro, che il 60% dei consumatori preferisce rivolgersi ai self service, mentre il 40% preferisce la formula del “servito”. La tendenza è internazionale, ma che in Italia ancora il 40% degli automobilisti preferisca essere servito è per noi ancora un gran valore.

Il quadro sarebbe ancora più completo se lei ci ricordasse come si forma il prezzo del carburante in Italia...
Come tutti sanno l’imposizione fiscale è molto alta. Intorno a fine maggio in media le tasse pesavano sul prezzo al consumo per il 54% e il costo della materia prima per il 35% mentre marketing, profitti e altri costi per l’11%.  

A.M.