Per ora è andata bene e il fermo dell’autotrasporto che secondo Trasportounito, la sigla che l’aveva proclamato con l’accordo di Aitras, Aias e Assotrasporti, avrebbe dovuto paralizzare la distribuzione italiana durante tutta questa settimana, è stato sospeso su ordine della Commissione di garanzia sugli scioperi. L’organismo che ha il potere di vietare gli scioperi nei servizi pubblici essenziali s’è appellato alla situazione di emergenza imposta dal terremoto in Emilia e al ripetersi delle scosse in questi giorni nel Nord Italia. La minaccia del blocco dei trasporti non è stata tuttavia cancellata.

Gli organizzatori hanno rimandato il fermo al periodo che va dalle 22 dell’8 luglio alla stessa ora del 13. Che cosa effettivamente accadrà non è facile prevederlo. È vero, infatti, che le rappresentanze storiche dell’autotrasporto, e cioè Fai-Confcommercio, Fita-Cna e Confartigianato, hanno preso le distanze da Trasportounito, ma le avevano prese anche a febbraio, quanto quest’ultima, costituita da dissidenti fuoriusciti, aveva cavalcato l’onda del risentimento diffusosi in questi anni tra le aziende di autotrasporto che stanno subendo una crisi mai vista in precedenza.

A esacerbare gli animi è la polemica sui “costi minimi per la sicurezza” varati durante l’ultimo governo Berlusconi, anche se ad aprire quella strada era stato il precedente governo Prodi che aveva, tramite un protocollo d’intesa, convinto gli organizzatori di un altro grave fermo, tenutosi a fine 2007, a interromperlo.

La grande committenza, dall’industria agli operatori riuniti in Assologistica, quei costi minimi non li vuole pagare ritenendoli un ostacolo alla libera concorrenza. In questo è stata aiutata dall’Antitrust che ne ha denunciato l’ambiguità ritenendoli una sorta di tariffa obbligatoria mascherata che riesumerebbe almeno in parte le cosiddette tariffe a forcella abolite qualche anno fa accettando la liberalizzazione del settore appoggiata anche dalle principali associazioni degli autotrasportatori. Con la liberalizzazione le imprese del settore hanno moltiplicato il numero dei camion in circolazione non potendo prevedere la crisi che ha contratto fortemente e all’improvviso la domanda di trasporto.

Il crollo della domanda ha anche bloccato le vendite di mezzi pesanti: i costruttori stimano che nel 2012 se ne immatricoleranno 14.500 contro gli oltre 40.000 del 2009, quando la crisi si manifestò con tutta la sua portata. La situazione è dunque ingarbugliata. Lo dimostra quanto afferma Fita-Cna nell’invitare i camionisti a non aderire al fermo di Trasportounito pur consapevole del momento attraversato dalle imprese: “ Da tempo la nostra Associazione ha denunciato pericolose fughe in avanti che, unite alla disperazione del difficile momento economico, rischiano di far assumere posizioni e responsabilità sbagliate oltre che pericolose a chi, come i nostri imprenditori, vorrebbe semplicemente portare avanti legittime rivendicazioni”.

E continua: “In questo momento l’autotrasporto italiano non deve fermarsi, semmai deve dimostrare quanto tiene al suo Paese garantendogli ancora una volta la continuità dei servizi che tutti i giorni i nostri imprenditori piccoli, medi e grandi con sommo sacrificio e tra mille difficoltà portano avanti. Oggi non dobbiamo fermarci, ma insistere nell’azione di dialogo dimostrandoci oltremodo propositivi e confidando in un Governo che sappia in tempi stretti disinnescare l’oppressione dei ‘costi massimi’ e soprattutto del caro gasolio.

Tutto ciò premesso, Fita-Cna è ben cosciente che vi sarebbero tutte le ragioni per un fermo, ma è altrettanto consapevole che sapervi rinunciare ancora una volta in questo momento di eccezionale emergenza non potrà che dare maggiore forza a ciò che, senza precise risposte da parte dell’esecutivo, non potrà che essere domani una grande manifestazione di dissenso”.