Ci riferiamo alle conseguenze che anche le attività commerciali online più piccole subirebbero quanto a trasporti e distribuzione, con vincoli che ne farebbero appunto esplodere i costi di gestione rendendo preferibile chiudere l’attività. Secondo Netcomm, l’associazione nata nel 2005 che raccoglie in Italia gli operatori e-commerce, bene che vada ricadranno sui consumatori i 10 miliardi di euro che sosterrà il settore nel caso passasse la nuova Direttiva.
Oltre a Netcomm si sono dichiarate contrarie alla proposta di Direttiva sui “Diritti dei consumatori”, anche la francese Fevad (Fédération ecommerce et Vente à Distance) e l’inglese IMRG (Interactive Media in Retail Group) che hanno chiesto ai rispettivi Governi di non sottoscrivere la proposta del Parlamento europeo.
Sono oltre 150 milioni i consumatori europei online e di questi poco meno di 10 milioni sono italiani. Da un’analisi condotta sulla base dei dati forniti dalle associazioni di categoria europee che rappresentano circa il 50% del comparto, l’incremento dei costi di trasporto che si genererebbero se la Direttiva entrasse in vigore ammonta a circa 10 miliardi di euro. Ad oggi, secondo Netcomm, i costi di trasporto dell’e-commerce europeo valgono circa 5,7 miliardi di euro, ma con la nuova legislazione salirebbero a 15,6 miliardi.
In base all’articolo 22 della proposta di Direttiva, sulla libertà di contratto, i siti di e-commerce avranno l’obbligo di consegnare in tutta Europa. In tal modo una piccola realtà che decidesse di aprire un sito in Italia o in uno qualsiasi degli altri Paesi dell’Unione avrebbe l’obbligo fin dall’inizio di prevedere un sistema di pagamento con sette valute differenti, un sistema di traduzione in 25 lingue e contratti di spedizione in 27 Paesi.
L’articolo 12, sul diritto di recesso (nei Paesi europei oggi il consumatore ha tra 7 e 10 giorni per cambiare idea e restituire, rigorosamente a spese del venditore, un prodotto integro e non utilizzato), introduce un ampliamento considerevole dei tempi per effettuare il reso, consentendo di effettuare la notifica entro 14 giorni e la restituzione entro i successivi 14. In totale si quadruplica o triplica, a seconda dei Paesi, il tempo per restituire il prodotto, lasciando quasi un mese di tempo (28 giorni) per esercitare questo diritto.
Per gli articoli 16 e 17, anch'essi sul diritto di recesso, il sito di e-commerce sarebbe tenuto al rimborso del consumatore entro 14 giorni e non più entro i 30 prima consentiti. Questo può generare l’assurda situazione di dover rimborsare il bene prima di riceverlo indietro e quindi non avendo la possibilità di verificare che il prodotto sia integro, non utilizzato e uguale a quello spedito.