Sarà forse per un fatto di costi, paradossalmente. O forse perché nel nostro paese, anche nello scambio di informazioni sui prodotti, tra produttori e distributori, prevale un dominante individualismo. Questo non si sa. Quello che è certo è che il 30% delle merci ricevuto dalle aziende produttrici avviene con quantità diverse da quelle ordinate. E che il 47% dei 100mila ordini di acquisto annuali in gdo non sono perfettamente allineati alle fatture d’acquisto. Insomma, un problema non da poco. E un sensibile aggravio di costi che potrebbero essere risparmiati. Secondo alcune stime, infatti, quello per processare un errore oscilla tra 12 e 40 euro, condiviso tra fornitore e cliente. Non solo. Si valuta che il disallineamento delle informazioni di prodotto con le catene distributrici mandi in fumo una quota pari all’1,5% delle vendite annuali dei produttori.

E’ per questo che Indicod-Ecr sta promuovendo la diffusione del cosiddetto catalogo elettronico, un nuovo servizio che ha come obiettivo una gestione delle informazioni di prodotto più rapida e affidabile. Lo ha fatto anche nei giorni scorsi in occasione di un convegno intitolato “Il servizio di catalogo elettronico di Indicod-Ecr: quali benefici per la filiera”. Grazie alla presentazione di alcune testimonianze, si è cercato di dimostrare come l’utilizzo di questo nuovo standard permetta ai partner commerciali di ridurre in modo significativo le inefficienze derivanti dal disallineamento. E non solo a livello logistico e amministrativo.

Tra i vantaggi più rilevanti derivanti dalla standardizzazione dello scambio di informazioni tra idm e gdo, in effetti, spiccano la riduzione delle rotture di stock, i costi causati da un’errata codifica della merce, minori risorse per il trattamento dei dati o la riduzione del tempo per le attività amministrative, ma anche un incremento della velocità di introduzione di nuovi prodotti e dei tempi di inventario.

«Non si tratta di un progetto di esclusiva competenza dell’IT, della logistica o del marketing – ha sottolineato a questo proposito il direttore generale di Indicod-Ecr Bruno Aceto -, ma di soluzioni che impattano a 360 gradi sul business aziendale e sul suo sviluppo, creando valore ed efficienza».

L’Italia, come si diceva, rappresenta però il fanalino di coda in Europa nell’utilizzo e diffusione di questo standard. Attualmente, tra i produttori, sono poche decine le aziende che lo hanno adottato in modo uniforme, contro i quasi 2.400 in Francia, i 1.310 in Germania e i 1.200 nel regno Unito. Stessa arretratezza a livello distributivo: a fronte delle 55 catene tedesche o delle 26 francesi, il Belpaese conta una sola insegna che si è già attivata da tempo in tal senso: Coop Italia.

I primi passi sulla strada dello sviluppo del catalogo elettronico da parte di Coop Italia sono stati mossi a partire dal 2003, nell'ambito di un progetto di marketplace. Alla fine del 2008 aveva attivato nel food 8 reparti su 8, coinvolto 56 fornitori su 306 (pari al 18% del parco fornitori) ed effettuato la sincronizzazione dei dati relativi a 72 prodotti su 4.197 (pari al 2%). Nel non food, invece, erano 15 su 32 i reparti attivati (47%), 185 i fornitori coinvolti su 818 (23%) e 8.041 le referenze sincronizzate su un totale di 22.873 (35%).

«Questo si è tradotto in una riduzione dei tempi di referenziamento dell’80% e in un time to market di soli 10 giorni – ha dichiarato Riccardo Giuliani, direttore dei sistemi informativi di Coop Italia -». I problemi per Coop Italia, tuttavia, non sono mancati. «Il break even sull’investimento - ha ammesso Giuliani – non è stato raggiunto. Ma la strada è tracciata e lo rifaremmo». Anche perché le referenze aumentano, le informazioni sui prodotti e i canali di comunicazione pure. «La carta viaggia ancora più velocemente dei dati elettronici – ha lamentato Giuliani –. Per ridurre le inefficienze occorre necessariamente condividere semantica e sintassi nel linguaggio tra produttori e distributori. Peccato che finora, paradossalmente, le multinazionali siano state quelle meno ricettive alle nostre proposte».