di Luca Salomone

Dopo la galoppata del 2020, rallentano gli acquisti di vino in Italia, nel cosiddetto canale ‘off-trade’, che comprende tutti i format della Gdo e i siti generalisti del commercio elettronico.

Secondo ‘Nomisma wine monitor’, studio realizzato in collaborazione con NielsenIQ, il consuntivo 2021 mostra una riduzione a volume dell’1,2% rispetto all’anno precedente a fronte però di una crescita in valore del 5 per cento.

Messi a confronto con il 2019 – e quindi prima dello scoppio della pandemia – gli stessi dati segnalano un aumento a volume del 5% e di oltre il 13% a valore, a testimonianza di uno spostamento dei consumi verso la fascia alta, peraltro in atto da diversi anni.

«Questo cambiamento degli stili di spesa nella moderna distribuzione si verifica sia all’interno della stessa categoria, sia tramite uno spostamento della domanda fra tipologie diverse tra loro e che premiano i beni a maggiore valore unitario», sottolinea Denis Pantini, responsabile agroalimentare e Wine monitor di Nomisma.

Basti infatti pensare che le vendite, a volume, di spumanti e champagne crescono a doppia cifra (+23%) mentre i vini fermi chiudono il 2021 in flessione del 4,5% in quantità, ma con un +0,3%, in euro.

«Il riposizionamento qualitativo dei consumi dei vini fermi si desume soprattutto dalle vendite a valore in iper e super – continua Pantini - dove crescono i Dop, con un +5% a valore, a fronte di un calo di quelli generici (-10%)».

Spostando l’analisi ai diversi format distributivi si scopre che l’aggregato iper, super, liberi servizi (che incide per il 64% dei volumi sull’intero off-trade) accusa una riduzione a volume di quasi il 2% mentre il dato in valore incrementa del 5,2 per cento.

A tirare la volata sono gli spumanti: il metodo classico registra le dinamiche più rilevanti, con una crescita, a valore, del 26%, seguito dagli Charmat secchi (+19%), dallo Champagne (+16%) e dagli Charmat dolci (+12%).

Per i vini fermi e frizzanti, le vendite, nelle medesime tipologie distributive, risultano in calo a valore per i frizzanti (-4,3%), mentre aumentano nel caso dei fermi (+1,8%).

Si segnala una diminuzione - sia a valore che a volume - per il discount (rispettivamente -2 e -4%), mentre il cash&carry mette a segno un’impennata del 20% nei valori e del 15% nei volumi, a dimostrazione della ripresa dei avvenuta – seppure a singhiozzo - nei bar e ristoranti, principali clienti del canale.

Infine, l’e-commerce. Dopo l’esplosione delle vendite 2020, anche a seguito dei lockdown e delle limitazioni e chiusure nell’horeca, il 2021 si è chiuso, a sorpresa, con un’ulteriore progressione nei siti generalisti (catene retail e Amazon): +22% a valore e +19% a volume, rispetto all’anno precedente.

Occorre tuttavia segnalare come l’ultimo trimestre 2021 abbia visto ridursi le vendite online – rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente - del 13% a volume, anche se la flessione è soprattutto un rimbalzo, dovuto al boom di ottobre-dicembre 2020, quando gli italiani non hanno potuto frequentare i ristoranti, ma, anzi, hanno dovuto festeggiare Natale e Capodanno tra le mura domestiche.

Buone notizie – si fa per dire - anche sul versante dell’export. Secondo Unione italiana vini il made in Italy è cresciuto del 13% nei primi 10 mesi del 2021, apprestandosi a chiudere l’anno per la prima volta sopra i 7 miliardi di euro. Ma, purtroppo, il 2022 si è aperto con un rincaro medio, per le imprese, del 10% a bottiglia a causa della ‘tempesta energetica’, che peserà per 1,3 miliardi di euro di costi aggiuntivi.

“Un disastro competitivo – commenta Uiv - per un settore campione del made in Italy, disastro che minaccia sia le vendite oltre confine, sia i consumi interni, costringendo a modificare i listini, per non lavorare in perdita”.

In primo piano, il surplus complessivo della “nuova” bolletta elettrica – stimata in quasi 350 milioni di euro in più rispetto a 2 anni fa – da aggiungere al complesso dei rincari di trasporti, carta, vetro, legno e altro –, quantificati in 1 miliardo di euro.

L’associazione, che rappresenta l’85% delle esportazioni italiane del settore, paventa forti ripercussioni, specie sui mercati esteri. L’Italia, infatti, è il Paese più esposto al rincaro di gas naturale ed energia, rispetto ai concorrenti francesi e spagnoli, che possono contare su mix energetici differenti e pratiche di contrasto più efficaci. Il rischio, tangibile, è di perdere quote di mercato, non solo a vantaggio dei Paesi del ‘nuovo mondo produttivo’, ma anche dei competitor europei.