C’è solo da augurarsi che tutto si concluda con un nulla di fatto. Sarebbe davvero frustrante se la nuova proposta di legge sulla disciplina del commercio al vaglio del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia dovesse venire approvata. Ciò rappresenterebbe, a nostro avviso, non solo un danno per i cittadini e le imprese, ma un clamoroso passo indietro sulla strada delle liberalizzazioni reclamate da più parti. In altre parole, tutto il contrario di quello che la gente chiede.

Due gli interventi discutibili. La proposta vorrebbe infatti diminuire complessivamente il numero di giornate di aperture domenicali e festive degli esercizi. Contestualmente, mirerebbe a ridurre in modo drastico il numero dei comuni turistici. Ora, non si capisce quali siano le motivazioni alla base di questa proposta. Probabilmente le solite: la presunta difesa del piccolo commercio e i falsi scrupoli di stampo clericale.

Sarebbe però davvero ora di finirla. Il caso della proposta di legge friulana, di fatto, è emblematico di una frammentata normativa sul commercio a livello nazionale che al posto di lasciare libertà ai cittadini di scegliere dove e quando fare i propri acquisti e alle imprese di sviluppare, se lo vogliono, il loro business, ne limita fortemente gli spazi. Il problema è generalizzato. Certo, nel caso friulano appare eclatante.

Una ricerca del Cermes rileva che quasi il 78% dei consumatori italiani è favorevole alle aperture domenicali, poiché esse “consentono una migliore allocazione del tempo, sono piacevoli e permettono un acquisto più ragionato e consapevole”. Ma non occorre certo scomodare il centro studi della Università Bocconi per comprendere l’importanza delle aperture domenicali e più in generale della flessibilità degli orari di apertura in termini di servizio e di comodità.

Al di là di quelle che dovrebbero essere delle semplici considerazioni di buon senso per garantire una maggiore praticità e libertà di scelta ai cittadini, se ne aggiungono però altre di natura economica, specie in un periodo come questo: meno servizio per i consumatori significa infatti meno possibilità di sviluppo economico e quindi meno occupazione.

«Se la legge dovesse passare nella sua attuale formulazione – ha ammesso Paolo Martini, delegato di Federdistribuzione per il Friuli Venezia Giulia – per la nostra regione sarebbe davvero un passo indietro per tutti: per le imprese, che vedrebbero ridotte le possibilità di sviluppo e quindi non potrebbero fare altro che ridurre il personale; per i cittadini, che avrebbero meno servizio e per l’intero sistema economico, costretto ad una competitività territoriale con le armi spuntate».

Non possiamo che concordare con le parole di Federdistribuzione su flessibilità e libertà in materia di orari e giorni di apertura, convinta com’è che «un comparto importante come il commercio al dettaglio possa e debba consentire ai consumatori di esprimere le loro preferenze in materia di consumo in ragione delle proprie personali esigenze».