Secondo l’Unione dell’industria alimentare italiana di piccole e medie dimensioni non è tutto oro quello che luccica nel Disegno di legge sull’etichettatura 2260 bis definitivamente approvato. La piccola e media industria alimentare rappresentata da UnionAlimentari-Confapi premette in un suo documento di essere a favore di qualsiasi iniziativa che possa promuovere il made in Italy agroalimentare d’eccellenza e la tutela del consumatore. “Tuttavia - vi si legge - considerando entrambe le  finalità, ci sembra che il Disegno di legge che impone a livello nazionale l’indicazione in etichetta dell’origine delle materie prime utilizzate, presenti numerose lacune: innanzitutto rischia di aggravare l’industria alimentare italiana con costi e minore competitività rispetto ai competitor esteri; inoltre può creare fraintendimenti nei consumatori e a venire meno sono proprio la sicurezza e la ricerca della qualità che la norma si è posta come obiettivo da raggiungere”.

I motivi sarebbero i seguenti: “Il Disegno di legge è obbligatorio solo per le imprese nazionali e non per tutti i prodotti commercializzati in Italia; questo comporta che le altre aziende Comunitarie sono libere di commercializzare gli stessi prodotti senza alcuna precisazione in merito all’origine/provenienza; impone d’indicare il luogo di origine o le provenienze nei prodotti trasformati per la materia prima agricola prevalente e sanziona duramente i produttori che non si uniformano a tale obbligo”. Ciò farebbe apparire l’Italia ostinata verso un percorso solitario, non prendendo in considerazione il dibattito ancora attuale presso il Parlamento europeo circa il nuovo regolamento sull’etichettatura dei prodotti, che sarà direttamente applicabile in tutti i Paesi comunitari.

“Nella produzione di alimenti trasformati - prosegue Unionalimentari nella sua nota - la capacità delle Pmi è frequentemente legata alla maestria nel riconoscere le caratteristiche e la qualità delle materie prime, saperle dosare e miscelare per ottenere produzioni eccellenti, condizionate il meno possibile dall’andamento stagionale e dalla variabilità naturale della materia prima di partenza, in modo da fornire costantemente un prodotto di qualità ai propri clienti. Tutto ciò, spesso, ha poco a che fare con la pura origine geografica. Le nuove disposizioni rischiano di aggravare notevolmente i costi produttivi per la necessità di stampare molte più etichette, di attrezzare le macchine confezionatrici; senza dimenticare l’incremento dei costi logistici e dei prodotti a magazzino”.

Insiste l’associazione: “Dal punto di vista del consumatore, l’uso eccessivo di talune informazioni può indurre a fraintendimenti, perché, paradossalmente, si potranno avere tante origini in uno stesso prodotto che rischiano di destare incertezze nei consumatori: basti pensare ai quei prodotti la cui materia prima agricola prevalente è diversa dall’ingrediente caratterizzante. In tali casi l’etichetta dovrà riportare l’origine di entrambi, come richiesto dalla norma”.